È uno degli italiani più produttivi in questo momento e gioca in una delle squadre più in forma. Mattia Acunzo entra dalla panchina e mette insieme percentuali che rasentano la perfezione al tiro (61.5% da due e 70% da tre) per una Toledo che si sta attestando fra le squadre più interessanti al di fuori delle sei grandi conference (attuale #17 nella Mid-Major Top 25 di College Insider). Nessuna delle due cose era scontata, fra la lunga inattività del primo e un infortunio pesante che ha colpito i secondi. Di questo e di molto altro abbiamo parlato col freshman casertano.
In un articolo recente, avevo scritto che era solo questione di tempo perché arrivasse la tua prima partita in doppia cifra. Subito dopo hai fatto di nuovo 9 punti e avevo avuto paura di averti portato un po’ sfiga. Ma in quella successiva, ecco 15 punti contro Northern Illinois…
Pensavo fosse una maledizione, sinceramente [ride]. Avevo fatto 9 punti per tre partite di fila o una roba del genere. Mi ero detto che prima o poi doveva arrivare. Ed è arrivata una bella doppia cifra importante. Dai, sono contento, diciamo che abbiamo sfatato il tabù.
Al di là della gara in doppia cifra, stai tenendo delle percentuali al tiro pazzesche. Onestamente non si può chiedere di più a un giocatore per efficienza offensiva. Immagino che la tua fiducia sia su livelli altissimi in questo momento.
Guarda, me l’hanno chiesto diverse persone. L’unica cosa che dico è che ho sempre avuto questa mentalità: se c’è un tiro aperto, un tiro su cui lavori in allenamento, lo devi prendere con fiducia. In questo periodo la palla sta entrando spesso dentro, che come ben sai nella pallacanestro aiuta parecchio. Speriamo che questo momento possa durare il più a lungo possibile. Sono stato fermo parecchio e sono contento che tutte le ore di lavoro e sudore stiano pagando.
Tu appunto vieni da due annate di attività ridottissima, fra l’anno da freshman come redshirt e l’ultimo in high school nel quale avevi giocato grossomodo metà stagione. Come ti senti fisicamente?
A livello fisico sto bene, il piede sta bene. Ovviamente c’è da prendersene cura, c’è da fare ghiaccio dopo, da riscaldarlo prima della partita, ma queste sono tutte cose che faranno parte della mia routine per il resto della carriera. Nelle prime due-tre partite era tutto un po’ un ingranare, diciamo, anche a livello di respirazione. C’era di mezzo anche l’emozione di giocare di nuovo dopo tutto quel tempo.
Ti aspettavi di poter avere questo impatto già adesso?
Ti dico la verità, io sono un giocatore che va sempre in campo con una certa mentalità. Se non vai in campo convinto di dover fare una bella partita, di produrre e aiutare la squadra a vincere, poi certe prestazioni non arrivano. Devi avere fiducia in te stesso, sennò si fa fatica quando arrivi a un certo livello.
Avete avuto un inizio tosto, con due avversarie una meglio dell’altra nelle prime tre gare (Bradley e Xavier) e contro le quali, comunque, ve la siete giocata. Pensi che ci sia stata una partita della svolta per voi o vedi più un andamento progressivo nelle vostre prestazioni?
A livello di chimica di squadra, ci è voluto tempo. Rispetto all’anno scorso abbiamo solo le due senior che giocavano tanto, Marreon Jackson e Spencer Littleson. Per il resto abbiamo cambiato nove undicesimi. Ci voleva tempo per conoscerci, imparare quello che gli altri fanno bene, le loro lacune. Anche per l’allenatore è stato un processo complicato, aveva da capire diverse cose. Penso che quelle prime tre partite ci abbiano un po’ svegliato. Siamo partiti con un 1-2, magari meritavamo un 2-1, però siamo stati sfortunati contro Bradley. Adesso abbiamo trovato la svolta e abbiamo una striscia aperte di quattro vittorie.
C’è voluto del tempo anche perché avete avuto un imprevisto: AJ Edu, giocatore dalle caratteristiche molto particolari per voi, ha subito un altro infortunio grave.
Quando ho saputo di AJ ci sono rimasto molto male, perché io e lui siamo andati per la via degli infortuni insieme, diciamo. Vederlo riandar giù di nuovo mi ha dato una sorta di déjà-vu, perché io ho avuto il suo stesso problema: tornai e, tempo due mesetti, mi rifeci male dovendo stare fermo un anno intero.
Adesso, senza di lui, siete una squadra abbastanza positionless.
Abbiamo fatto di tutto per coprire la sua assenza, perché lui è un giocatore importante, specialmente a livello difensivo. Giochiamo molto small ball ultimamente. Cominciamo con un 5 puro che però gioca molto poco. Alla fine giochiamo con un playmaker, due guardie tiratrici e due ali che sono più dei 3 che dei 4.
Tu eri arrivato a Toledo col proposito di giocare da 3, poi quest’anno sembrava che dovessi giocare più da 4 ma i piani sono cambiati ancora una volta, in un certo senso. Come ti stai trovando in questo ruolo un po’ ibrido?
Guarda, ora sarebbe troppo facile dire “bene”, perché le prestazioni stanno arrivando. C’è stato un periodo di adattamento, come quello che avevo avuto nel passare dal 3 al 4. Io in high school e AAU giocavo sempre accanto a lunghi dominanti, molto grossi. Adesso, non avendo più quella figura in campo, è molto importante che tutti facciano il proprio compito alla perfezione, perché non hai quel lungo che, se ti fai battere, ti leva le castagne dal fuoco. È molto più difficile con questo stile di gioco: soffri un po’ a rimbalzo e anche le guardie devono aiutare lì, insomma richiede uno sforzo fisico un pochino maggiore da parte di tutti. È importante che tutti stiano sulla stessa pagina. E in queste ultime quattro partite abbiamo dimostrato di poterlo fare.
Quella figura dominante di cui parlavi era Oscar Tshiebwe, adesso a West Virginia e fra i lunghi più interessanti in Division I (lo avevamo messo alla #3 nel nostro preseason ranking del ruolo). Sei ancora in contatto con lui?
Sì, io e lui abitavamo con la stessa famiglia. Siamo sempre molto vicini oggi, ci sentiamo una volta ogni giorno o due.
Che cosa ti racconta su quest’annata?
Tutti e due abbiamo avuto un periodo di assestamento. Loro fanno tanto up and down e, quando adotti quello stile, i lunghi non prendono palla tantissimo e devono fare decisioni rapide. Per giocatori come lui magari non è l’ideale. È un atleta pazzesco e un agonista incredibile a rimbalzo. Quest’anno sta avendo un periodo un po’ così, è un po’ in calo. Però lui è tranquillo, ha fiducia in quello che sta facendo e sta lavorando forte. So che basterà una partita per fargli ritrovare la fiducia che ha sempre avuto. Non ho alcun dubbio che lui si ritrovi e torni a dominare. Ci sta magari che da sophomore ci sia un calo, perché gli avversari ormai ti conoscono.
Siete in programmi molto diversi, ma trovi dei paralleli fra le vostre due esperienze?
Sì, parecchio. Siamo entrambi dei ragazzi ai primi anni e stiamo giocando diversi minuti. Anche lui magari fa un errore e lo levano, stesso per me, cosa che prima non succedeva. Potevo fare anche due errori di fila e si chiudeva un occhio. Ora bisogna fare attenzione, ogni minimo dettaglio fa la differenza al livello in cui giochiamo adesso.
A proposito di livelli alti: oltre che con Xavier, avete giocato anche contro Michigan. Che impressione ti ha fatto?
Loro sono una squadra molto profonda, hanno i due lunghi che ci hanno martoriato per tutta la partita, specialmente il freshman, Hunter Dickinson: ha un lavoro di piedi impressionante e una tecnica importante. A volte può sembrare che si ammosci un po’ ma posso assicurare che è un giocatore pazzesco. Poi hanno anche Franz Wagner, che nel suo ruolo è molto forte per taglia e talento.
Tornando a voi, Toledo ha un pubblico molto presente alle partite, in un modo che non si vede troppo spesso fra le mid-major (4.310 spettatori di media nel 2019-20, nella MAC la media è stata di 2.775). Vi manca molto il fattore campo?
Stiamo avendo un numero molto limitato di fans, ma qualcosina ce l’abbiamo sempre. Il pubblico qui ha sempre dato una grossa spinta, è il sesto uomo in campo. Non averlo purtroppo fa la differenza. Non vediamo l’ora di riavere tutti i nostri fans alla Savage Arena a fare il tifo.
Parlando di MAC, da quando sei arrivato lì, Toledo ed Eastern Michigan hanno giocato l’una contro l’altra per tre volte finora, ma o per tuo infortunio o per quello di Thomas Binelli non c’è stato ancora il derby italiano. Voi due siete di annate e di zone d’Italia diverse, non so se vi conoscete e se vi sentite…
Sì, con Tommy ci sentiamo molto su instagram. Siamo tutti e due italiani, conoscersi è il minimo, diciamo. È un ragazzo super. Dopo che abbiamo finito la partita di quest’anno gli ho detto praticamente la stessa cosa che hai detto tu: “la sfortuna non ci ha fatto ancora giocare contro”. Speriamo bene, magari ci sarà un’altra opportunità.
Ora siete chiaramente la formazione più in forma della MAC, ma fra le squadre della vostra conference chi è che può dare più fastidio nella corsa al titolo?
La MAC è un campionato molto combattuto. È risaputo. C’è un dato: circa l’85% delle partite della conference finiscono entro uno scarto di 5 o 6 punti. Posso dire sicuramente Akron, che torna col POY della scorsa stagione, Loren Cristian Jackson. Poi Ohio con Jason Preston è una bella squadra. Buffalo è sempre forte anche se non è più quella squadra da Top 25 di qualche tempo fa.