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Tubelis sottovalutato, Griesel emozionato: una Week 6 europea

Autore: Redazione BasketballNcaa
Data: 20 Dic, 2021

Tutta l’emozione di Sam Griesel al termine della gara con Indiana State (Photo by Reggie Photography)

La Week 6 ci regala delle pagelle settimanali dal sapore molto europeo, fra le prestazioni di Ąžuolas Tubelis, il record di Lorela Cubaj, la partita speciale di Sam Griesel e una domenica piena di giocate clutch firmate da giocatori del Vecchio Continente.

 

Ąžuolas Tubelis (Arizona). Mathurin che fa innamorare gli scout, Kriisa che fa rosicare i tifosi avversari, Koloko che spazza via chiunque si avvicini sotto canestro: c’è il pieno di personaggi da celebrare a Tucson. Per questa settimana, la nostra scelta ricade sul lungo lituano che, per quanto applaudito, potrebbe essere il giocatore più sottovalutato in circolazione (#2 di tutta la D1 per gli algoritmi di Evan Miyakawa). Perfettamente a proprio agio nei ritmi elevati dei Wildcats, aggressivo quanto (e quando) serve, dominante in area, utilissimo in tanti modi (anche in quelli che non finiscono nei boxscore): Tubelis sembra la solidità fatta giocatore e il suo apporto è stato determinante nei due successi settimanali di Arizona contro Northern Colorado e Cal Baptist (16 punti, 8 rimbalzi, 8 assist, 2 stoppate, 3 recuperi nella prima; 19 punti, 7 rimbalzi, 5 assist, 2 stoppate nella seconda).

Lorela Cubaj (Georgia Tech). Chiamatelo pure un 10 alla carriera. La ternana di GT è, fra le varie cose, una vera macchina da rimbalzi: 12.5 di media quest’anno che la pongono ai vertici dell’intera D1. I 12 tirati giù domenica nel successo su Wake Forest le sono valsi il raggiungimento di un importante traguardo personale, ovvero il record all-time per le Yellow Jackets di carambole catturate: 1039 finora. Bravissima.

Kendall Brown (Baylor). I Bears sono un bel vedere anche quest’anno. Lo abbiamo anche confermato nel nostro recente podcast. Certo che se ti entrano due freshman come Jeremy Sochan e Kendall Brown le cose si fanno più facili. Quest’ultimo, per energia e attitudine difensiva, è stato l’anima che ha permesso l’allungo a Baylor nel finale della gara contro Oregon. Sue le giocate (tra recuperi e alley-oop convertiti) che hanno consentito ai Bears di vincere. Per lui, 17 punti con 7/8 dal campo e 4 rimbalzi in 18 minuti di fuoco.

Memphis. È saltata la gara contro Tennessee, che sarebbe stato un bel banco di prova, ma l’ultima uscita dei Tigers contro Alabama è stata un toccasana per la squadra, per la stagione di college basket (che dovrebbe aver ritrovato una protagonista) e per gli scout Nba che hanno più chances di gustarsi al Torneo due talenti come Emoni Bates (che ha margini giganti di miglioramento data l’età) e Jalen Duren. Memphis ha mostrato che se corre e gioca leggera ha talento e fisico per far male a chiunque. Prossimo obiettivo: la continuità di rendimento.

Sam Griesel (North Dakota State). Ci sono cose che non pensi possano mai capitarti quando sei giovane, atletico, nel pieno delle forze. Purtroppo, però, possono succedere: il tedesco-americano di NDSU se l’era vista bruttissima a inizio novembre, ricoverato e operato per un’ulcera che avrebbe potuto prendere una piega molto seria. Un mese lontano dal campo col morale scosso nel profondo e, poi, il ritorno in pompa magna: alla terza partita ha messo insieme 25 punti, 8 rimbalzi, 5 assist decisivi per il successo dei Bisons su Indiana State. Tanta emozione e qualche lacrima per lui alla sirena finale, com’è giusto e normale che sia.

Hofstra. A Little Rock ci è arrivata un po’ all’ultimo, complice un volo cancellato nella sera che precedeva la gara con Arkansas. Poco male, tanto i Pride l’hanno vinta lo stesso, portando a casa il loro primo successo contro un ranked team dal lontano 1976. Mica male per loro e per il coach esordiente Speedy Claxton, già capaci di dare filo da torcere a squadre come Houston (gara persa all’overtime) e Maryland (persa di due punti). Avversarie avvisate in una Colonial che sembra essere di nuovo una delle conference più aperte di quest’annata.

La domenica clutch degli europei. Settimana chiusa in bellezza per gli europei della D1, con tante zampate finali decisive. L’inglese Amin Adamu che piazza un jumper dalla media allo scadere, regalando il successo a Montana State (61-59 su Portland). Il bielorusso Dzmitry Ryuny che, con tre liberi a 12 secondi dalla fine, regala il riscatto a San Francisco (66-65 in casa di Arizona State) subito dopo la prima sconfitta patita in stagione, sul parquet di GCU. Anche il norvegese Marcus Larsson è stato clutch dalla linea della carità: due su due per il sorpasso di UIC su Northern Illinois quando c’erano 10 secondi da giocare.

Alondes Williams (Wake Forest). VMI e Charlotte non sono due grandi avversarie e quindi che Wake Forest abbia vinto non fa troppo notizia. Ma Williams, che è già il miglior giocatore della sua squadra, nelle due gare citate ha messo a referto 36 e 34 punti con (complessivamente) 22/32 da due, 4/11 dall’arco, 13 rimbalzi e 10 assist. Una furia. Ora bisogna ripetersi in ACC.

Coppin State. È andata da Drexel scordandosi di portarsi dietro le uniformi, dovendo così giocare la gara con le canotte da allenamento della squadra di casa. Agli Eagles diamo però un 6 e un’affettuosa pacca sulle spalle: non è facile vivere una stagione normale quando sei una HBCU per la quale l’espressione fare le nozze coi fichi secchi neanche inizia a descrivere il livello d’assenza di quattrini. Disputare buy games (cioè farsi pagare per giocare in trasferta) è importante per le piccole squadre: per Coppin, minuscola, è proprio vitale per tenere il programma in piedi. Nessuno ha giocato tante partite quanto loro finora: ben 15 di cui 13 in casa d’altri (record 1-14), in un tour de force ultrafaticoso e ben raccontato da SI di recente. Forza ragazzi, il peggio è quasi passato.

Creighton. Vale di più la vittoria contro Villanova (ps. i Wildcats ci ringrazino che questa settimana li dispensiamo da un voto basso) o la sconfitta contro Arizona State? Nel dubbio mettiamo i Bluejays qui a metà classifica. Contro i Sun Devils hanno pagato la peggior prestazione da tre punti della stagione (20%), confermando per l’ennesima volta come i loro risultati siano sempre molto legati all’efficienza dall’arco.

Washington State. Ha chiuso bene la settimana, con un autorevole +26 su Northern Colorado, ma i rimpianti sono già tanti per una formazione che vorrebbe essere da Torneo NCAA. Prima di quest’ultimo match, infatti, i Cougars avevano rimediato da New Mexico State la loro quarta sconfitta stagionale (tre in casa propria, una su neutro), tutte arrivate con uno scarto pari o inferiore ai due possessi di distanza. La tenuta in clutch time è spesso ciò che distingue un curriculum eccellente da uno mediocre.

Jamaree Bouyea (San Francisco). La cosa più probabile è che questa sia solo una parentesi, ma poteva costare più caro di quanto non sia stato. Prima o poi doveva succedere che USF ne perdesse una, ma così fa male: 49-48 con GCU nella peggior prestazione offensiva mai capitata in tre anni di gestione Todd Golden. Bouyea, che era stato assolutamente stellare fino a quel punto, è naufragato con tutto il backcourt: 3/14 al tiro per lui e 8/34 in totale dal trio che forma con Shabazz e Stefanini. Non gli è andata molto meglio poi con Arizona State (4 punti con 2/11 dal campo, 6 assist e 4 recuperi ma anche 6 perse) però, per fortuna, è arrivata la vittoria per i suoi.

Boston College. Sembrava una buona stagione, c’era stata anche la vittoria contro Notre Dame. E poi niente, i soliti Eagles. Passi la sconfitta contro Saint Louis, ma quella in casa contro Albany (#308 su KenPom) proprio no. Non regge nemmeno l’alibi infortuni (Brevin Galloway e Frederick Scott out) o le ottime percentuali dei Great Danes. Intensità solo a tratti e palle perse nei momenti cruciali del match. Così nella ACC si fa dura.

Chris Mack (Louisville). “È colpa mia”, ha detto il coach dei Cardinals a fine partita dopo la sconfitta nel derby contro Western Kentucky. Ai tifosi non è che interessi moltissimo trovare un colpevole, ma resta il fatto che gli Hilltoppers hanno giocato come se fosse l’incontro della vita, mentre Louisville ci ha messo 10 minuti prima di entrare in partita. E a quel punto ha dovuto rincorrere per tutta la gara, chiusa con 31 liberi tentati contro solo 7.

North Carolina. Egoisti, soft. Ai Tar Heels ne sono state dette un po’ di tutte dagli addetti ai lavori dopo il brutto spettacolo offerto con Kentucky (-29). È difficile discostarci da queste accuse, oltretutto confermate in maniera indiretta dalle parole post gara di coach Hubert Davis e della guardia R.J. Davis. UNC è scesa in campo come se quella fosse una partitella qualunque, non un incontro fra due blue blood, mostrando un impegno difensivo da campetto e un impatto a rimbalzo inesistente. Bisogna correggere la rotta in maniera drastica.

Buffalo. È riuscita a perdere con Canisius – bravi loro, per carità – squadra non irresistibile (aveva vinto solo con Coppin State e una D3 fino a quel punto) e che si presentava senza due quinti dello starting five, leading scorer compreso. Di certo non aiuta quando il tuo miglior marcatore (Jeenathan Williams) fa 3/22 al tiro, ma le colpe qui ricadono su tutta la squadra. Gran brutta sconfitta per quella che sarebbe una delle miglior mid in circolazione.

La regola del forfeit nella Big East. Rieccoti, coronavirus. Non che se ne sia mai andato, lo sappiamo bene, ma il primo mese abbondante di stagione ci aveva restituito un po’ di normalità sportiva. Nell’ultima settimana, invece, abbiamo vissuto una sorta di ritorno al passato, con diverse gare rinviate o cancellate per via di casi riscontrati all’interno delle squadre. Un problema bello grosso, in particolare per la Big East: Seton Hall e DePaul vorrebbero rimandare le loro partite con St. John’s e Creighton ma, per le regole della conference, possono ricevere solo una sconfitta a tavolino. Il che è assurdo nel contesto attuale. Speriamo che i vertici della BE facciano marcia indietro.

 

 

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