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Bennedict Mathurin, la stella versatile di Arizona

Autore: Paolo Mutarelli
Data: 7 Dic, 2021

Ê difficile individuare nel melting pot di Arizona l’international migliore. Sicuramente quello con più possibilità di essere scelto al prossimo Draft è il canadese Bennedict Mathurin. L’ala al secondo anno ha tutto ciò che la NBA vuole da un giocatore di questo tipo: tiro, atletismo, wingspan, mobilità e potenziale. Dopo un’esplosione inaspettata nella seconda parte della scorsa stagione, Mathurin confida nelle promettenti qualità da sarto del neo coach dei Wildcats Tommy Lloyd per rendere il suo gioco degno di una scelta in lottery. 

A misura di NBA

Il roster di Arizona sembra essere uno scherzo del destino per coach Tommy Lloyd. A Gonzaga è stata la figura che ha sdoganato il recruit internazionale nel college basketball e ora si è ritrovato ad Arizona un’ossatura di international talentuosissimi lasciatagli in eredità da Sean Miller. Bennedict Mathurin è uno di questi. Il canadese si è fatto trovare pronto nella seconda parte della scorsa stagione, quando il tiratore titolare Jemarl Baker si è rotto il polso. Un esordio con il botto ad Oregon State l’ha messo sulla mappa e ora è uno dei pezzi più importanti di un’Arizona ancora imbattuta.

Mathurin è principalmente un giocatore intelligente che opera lontano dalla palla sia in attacco che in difesa. Quasi sempre attacca una difesa già mossa dai compagni, sfruttando le sue ottime qualità da tiratore catch-and-shoot (ha raddoppiato le sue conclusioni da tre, da 3.1 del 2020-21 a 5.9, passando però, per ora, dal 41.1% al 34.4%) e, soprattutto, usando questa minaccia per fare altro. Almeno un paio di volte a partita lo vediamo far saltare il difensore con una finta per poi attaccare il canestro. Creato il vantaggio, si aprono diverse opzioni che consistono nell’alley-oop per il lungo di turno, la schiacciata, se la linea di penetrazione verso il ferro è libera o, se intasata, un floater dalla sensibilità non banale.

 

Nonostante si sia riclassficato per entrare al college un anno prima, Mathurin dimostra una confidenza con il gioco avanzata rispetto all’età e all’esperienza che ha. Tanto di questo passa dalla sua precedente esperienza nella NBA Academy di Città del Messico, una delle sei sparse in giro per il mondo, dove ha vissuto e giocato per due anni. Queste nascono come polo di sviluppo di giovani giocatori nati e cresciuti fuori dagli Stati Uniti con l’obiettivo di dare loro una formazione sportiva ed educativa che possa portarli ad essere prima dei prospetti di livello al college e poi, in futuro, approdare nella NBA. Non a caso chi passa dall’Academy già sperimenta la vita da college intorno ai 15-16 anni e arriva pronto, come Mathurin, al primo anno di college basketball.

Anche per questo, il gioco offensivo dell’ala canadese sembra essere costruito su misura per il mondo professionistico. Secondo ShotQuality, il 91% dei suoi tiri vengono presi al ferro o da tre, ovvero le zone del campo più proficue. In questa seconda stagione ha pulito la sua selezione, puntando maggiormente su queste due zone. Il merito è anche di coach Tommy Lloyd che gli ha tolto il pallone dalle mani e di conseguenza sono scomparsi i tiri dal mid range, costruiti tutti dal palleggio in maniera abbastanza scombiccherata. L’ex assistente di coach Mark Few a Gonzaga, inoltre, sta cercando di sfruttare il più possibile il suo tempismo nei tagli backdoor, intuendo la possibilità di avere punti assicurati grazie all’atletismo del sophomore.

 

L’attacco di Arizona passa dalle mani di Kerr Kriisa e Azuolas Tubelis, mentre la difesa dalle capacità atletiche di Christian Koloko e Dalen Terry. Mathurin è il fil rouge che unisce queste due metà campo grazie ad un intrigante rapporto tra atletismo e controllo che lo fa sembrare un giocatore con dieci anni di professionismo alle spalle. Ci sono partite, come quella contro Oregon State, in cui può dar vita ad un vero e proprio festival delle schiacciate e altre, come quella contro Michigan, in cui la pulizia dei suoi movimenti, la velocità con cui trasmette il pallone da una parte all’altra del campo e l’intelligenza delle sue letture sono cruciali per vincere la partita. Tutto ciò rende Bennedict Mathurin una delle armi offensive più versatili della Division I.

Potenziale o limite

É lo stile imposto dal nuovo coaching staff a rendere questa versione di Arizona molto diversa rispetto all’ultima di Sean Miller. La cosa che balza più all’occhio è il ritmo che i Wildcats imprimono alle partite (12° in D-I per AdjTempo contro il 189° dello scorso anno). La transizione favorisce le qualità atletiche di Mathurin, ma anche di Dalen Terry e Christian Koloko, e quando si attacca a difesa schierata si entra velocemente nel gioco per far fruttare le letture di Kriisa. In questo sistema le decisioni vanno prese velocemente e i movimenti senza palla per liberare lo spazio sono cruciali per mantenere l’attacco equilibrato.

In questo contesto s’inseriscono i margini di miglioramento, o i potenziali limiti, di Mathurin. L’azione offensiva di Arizona si conclude spesso nelle sue mani, ma quasi mai inizia. Nonostante l’esplosività, Mathurin non ha un primo passo disarmante a causa di un ball handling abbastanza scolastico che lo rende impacciato quando deve attaccare la difesa ferma (17% di To%). Molto più a suo agio quando riceve un hand-off o deve attaccare su un ribaltamento, ma anche in questo caso non ha una visione tale da capitalizzare il vantaggio creato in un grande tiro per i compagni. É un passatore più intelligente che creativo, ovvero sembra saper fare il passaggio giusto nel momento giusto, ma non riesce ad avere quella visione necessaria per essere un ball handler primario.

 

Nonostante sia un tiratore temuto dalle difese, spesso tende a restringere il campo per andare a caccia di un possibile rimbalzo offensivo. L’esempio più chiaro è nel finale della partita contro Wichita State quando la palla sotto di due è andata giustamente al go-to guy della squadra Tubelis, che si è ritrovato a fare passi perché circondato dalla difesa degli Shockers senza avere uno scarico sul lato debole. Il motivo? Mathurin (in alto a sinistra) è entrato dentro l’area, intasando gli spazi senza dargli una linea per un passaggio.

 

Anche dal punto di vista difensivo si parte da una base solidissima con alcuni spazi di crescita. Arizona è molto aggressiva sul lato forte, cambiando sugli esterni e cercando di forzare palle perse (16° per To% forzate per KenPom) e scatenare la transizione. Lascia, quindi, spesso Mathurin a marcare l’attaccante sul lato debole per mantenere l’equilibrio in caso di ribaltamento. Il canadese è un ottimo difensore di squadra, molto vocale e puntuale. Si muove al centro in aiuto per sporcare la penetrazione avversaria, ha la rapidità per tornare in angolo a chiudere un tiro e la velocità laterale per tenere anche botta ad un’eventuale seconda penetrazione. La sua lunghezza (203 cm con 221 di wingspan) completa il suo apporto difensivo con rimbalzi, stoppate (spesso in transizione) e agguati sulle linee di passaggio.

 

A volte va fuori giri e l’aggressività di colpo si trasforma in irruenza lasciando un buco aperto in difesa. Ma il lato su cui Bennedict Mathurin deve lavorare di più è la difesa in uno-contro-uno e la difesa sul pick-and-roll. Si vedono lampi da difensore capace di mettere la museruola, ma spesso il canadese si stampa sui blocchi dei lunghi come se tutta quella rapidità che ha mostrato in campo non gli appartenesse. Non forza mai il passaggio sul blocco, anzi sembra adagiarsi sulle sue qualità fisiche per recuperare, spesso invano, l’errore iniziale. Fortunatamente l’inizio di stagione stellare di Koloko sta permettendo ad Arizona di essere la migliore squadra per percentuale effettiva concessa in questa stagione.

 

Complice il basso livello dell’attuale Pac-12 (fatta eccezione per un trio di squadre d’élite), sembrano essere i Wildcats gli indiziati principali a contendere il titolo di conference a UCLA. Nel frattempo sono una delle dodici imbattute rimaste in tutta la nazione e il merito è soprattutto di coach Lloyd che sta costruendo una nuova identità ad immagine internazionale (otto nazionalità diverse a roster, più il nostro connazionale Riccardo Fois in panchina) a Tucson. É da quando ha 16 anni che Bennedict Mathurin è abituato ad un contesto del genere e sa che l’integrazione del gruppo passa dalla lingua universale della pallacanestro: il canadese ha tutti gli strumenti per parlarla nella migliore maniera possibile.

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