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Sol levante, talento emergente: lo show di Kai Toews

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 5 Gen, 2019

L’Asia è il continente che ha meno rappresentanti in Division I, ma se credete che il giapponese Rui Hachimura sia il solo giocatore da seguire, vi sbagliate di grosso. Michael Wang di Penn ha fatto girare parecchie teste con un dicembre folgorante e Kevin Zhang di Tulane ha avuto un paio di exploit che promettono di diventare frequenti in futuro.

Quelli dei due freshmen cinesi non sono, però, gli unici nomi da segnare. Kai Toews, connazionale di Rui, ha preso per mano UNC Wilmington con un’autorità impressionante per una matricola ed è attualmente il 4° miglior assistman della NCAA: 7.6 di media, appena dietro a Cassius Winston (7.8), Alex Robinson (8.6) e Ja Morant (9.9). Il suo Assist Rate (45.0) è secondo solo a quello della stella di Murray State. Su 15 partite giocate, 5 le ha chiuse in doppia cifra per assist con un high (bissato) di 14. Di floor general come lui non ce ne sono molti e, vedendolo adesso, si fa fatica a credere che le sue speranze di finire in Division I, a un certo punto, sembravano appese a un filo.

Un talento di un paese in crescita

In Giappone, la pallacanestro non è mai stata particolarmente amata né ha regalato grossi motivi di soddisfazione per i suoi appassionati. Le cose però stanno cambiando e facendosi sempre più interessanti – oltretutto con buon tempismo, visto il profilarsi delle Olimpiadi di Tokyo 2020 – a partire da una nazionale nipponica che ha conquistato una vittoria storica contro l’Australia in estate e che ha ottime possibilità di qualificarsi ai Mondiali di quest’anno.

Rui Hachimura è fra i prospetti più intriganti del prossimo Draft; Yuta Watanabe, ex GW, è diventato il secondo giapponese a calcare i parquet NBA; Chikara Tanaka, next big thing con 17 anni ancora da compiere, è da poco sbarcato a IMG per misurarsi coi migliori coetanei americani. Passato, presente e futuro del Giappone nel college basketball: anche se meno reclamizzato rispetto a questi tre, Toews ha numeri più che sufficienti per incantare i tifosi del Sol Levante.

Playmaker che tocca a malapena l’1.88 di altezza, Kai è fra i tanti cresciuti col mito di Steve Nash – e non poteva essere altrimenti, avendo un padre canadese – ma con un occhio di riguardo anche per quei giocatori capaci di battere l’uomo e di segnare in transizione «come Kyrie Irving», dice lui. Due anime, due fonti d’ispirazione che in campo trovano la loro sintesi in una straordinaria visione di gioco unita a un piglio sempre aggressivo nei confronti delle difese avversarie, senza disdegnare tiri pesanti ma pur sempre nello spirito di chi pensa innanzitutto a innescare i compagni.

«Se non mi diverto, giocare non ha senso. Voglio solo vincere e divertirmi». Skip pass fulminanti, passaggi a una mano audaci ma precisi, qualche no-look (che non guasta mai): se gli stai col fiato sul collo, lo mandi a nozze, perché è capace di splittare il raddoppio, puntare il cuore dell’area e, da lì, chi lo sa che può succedere – un arresto e tiro? Uno scarico sulla linea da tre? In ogni caso, con lui non puoi dare mai nulla per scontato.

 

Finora non è riuscito a contenere molto le palle perse (3.6), ma il suo assist/turnover ratio (2.11) risulta discreto se teniamo conto sia del volume di possessi giocati che dell’elevata aggressività che porta sul parquet. Come ha fatto notare lo stesso Kai in un’intervista radio, è facile non commettere errori se non rischi mai nulla, altro conto è limitare gli sbagli aggredendo la partita.

I numeri da ritoccare sono soprattutto altri. Toews è capace d’infilare tiri davvero complicati ma, se dal mid-range se la cava bene (39.3% unicamente con tiri dal palleggio), le percentuali diventano abbastanza rivedibili se parliamo di conclusioni al ferro (48.5%) e assolutamente da migliorare in maniera netta nei tiri da tre punti (appena 22.9%).

 

C’è stile, sfrontatezza, voglia d’imporsi. C’è tutto quel che serve per far saltare gli spettatori dalla sedia. Se Kai è fatto così, probabilmente è perché nessuno gli ha mai regalato nulla.

All’avventura negli Stati Uniti

Nato e cresciuto a Kobe – la città della famosa bistecca – Toews si è poi trasferito a Tokyo con la famiglia, ma solo per breve tempo: il suo sogno, fin da piccolo, era di giocare al college. Il padre Burke – più conosciuto come BT – è un ex giocatore e coach che gli ha trasmesso la passione per il gioco e un po’ di trucchi del mestiere a suon di partitelle nelle quali non ha mai regalato nemmeno mezzo canestro. BT supporta le ambizioni del figlio ma c’è un bel problema: il Giappone è tutto fuorché un crocevia di reclutatori. E allora se gli scout non vanno da Kai, è Kai che va dagli scout. All’età di 16 anni si trasferisce negli Stati Uniti, più precisamente a Northfield, Massachusetts, iscrivendosi alla NMH.

Per lui, ragazzo bilingue e non estraneo alla cultura occidentale, l’adattamento alla nuova realtà non rappresenta un ostacolo ciclopico come nel caso – che vi avevamo raccontato – del suo connazionale e amico Hachimura. Le difficoltà incontrate sono di tutt’altro tipo.

La NMH è una di quelle scuole che mandano giocatori in NCAA a ciclo continuo: il talento non manca, tant’è che all’inizio Toews deve partire dalla panchina e restare all’ombra di gente che già da tempo era corteggiata da vari osservatori e che, infatti, ora è in D-I: Andrew Platek (North Carolina), Kellan Grady (Davidson), Tomas Murphy (Northeastern), Nate Laszewski (Notre Dame), Chuck Hannah (Elon).

Le offerte di scholarship tardano ad arrivare, tant’è che Kai comincia a dubitare seriamente di potercela fare: «Pensavo che non sarei diventati un giocatore di Division I. C’erano momenti in cui sentivo che venire negli Stati Uniti fosse stata una decisione sbagliata. Ma non sai mai chi ti mette gli occhi addosso».

Il fatto di essere circondato dal talento altrui, a un certo punto, si rivela un vantaggio. Se Kai si trova ora a UNCW, lo deve a un suo compagno di squadra. C.B. McGrath, oggi coach dei Seahawks, all’epoca era ancora uno degli assistenti di Roy Williams a North Carolina. La scoperta di Toews, per lui, arriva per combinazione, ovvero mentre sta osservando Platek, obiettivo dei Tar Heels: un amore cestistico a prima vista, quello per il playmaker giapponese. Lasciata UNC, McGrath mette Toews in cima alla sua lista di giocatori da portare a Wilmington e riesce a battere la concorrenza di Wofford e Delaware, arrivate ben dopo di lui. «A volte mi viene da ridere a pensarci – dice Kai – Coach McGrath mi ha conosciuto tramite Platek e quella ha finito per essere la mia strada per giocare in Division I».

La strada percorsa da Toews non è stata propriamente lastricata d’oro ma i suoi sogni di giocatore possono diventare sempre più luminosi. Coi Seahawk o anche, magari, ai prossimi Mondiali.

 

Fonti e approfondimenti

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