Di poche parole, essenziale: Tomas Woldetensae è uno che preferisce parlare attraverso i fatti. Ed è proprio facendo parlare il suo gioco che, durante questi suoi quattro anni negli Stati Uniti, ha disegnato una parabola personale fra le più interessanti che si sono potute osservare presso i vari nostri connazionali a stelle e strisce. Ovvero, da giocatore fuori dai radar in Italia a nuova recluta dei campioni NCAA in carica. Non male.
Classe ’98 di 1.95 metri, un mancino con un tiro mortifero, vedendolo giocare balza agli occhi l’estrema sicurezza acquisita nei propri mezzi: «È una cosa che è venuta nel tempo e sono certo che sia stata una conseguenza della sua crescita come persona, attraverso le difficoltà del vivere da solo in un posto dove non conosci nessuno e nel quale ti trovi per giocare a basket e studiare», ci dice Francesco Comastri, allenatore nella società che lo ha cresciuto, la BSL San Lazzaro. «Allo stesso tempo, è qualcosa che evidentemente aveva innato all’interno del suo carattere, perché ha la convinzione di poter arrivare a essere un giocatore di alto livello».
Una convinzione fondamentale per poter tirare dritto perché, in una forma o in un’altra, gli ostacoli non mancano mai. Un paio di esempi? Tomas non ha mai preso parte a un solo raduno della nazionale, almeno finora («È sempre stato un ragazzo che dava l’idea di poter diventare molto forte ma qui era un po’ sottovalutato», dice Comastri) e, al termine dei suoi due anni con Victory Rock Prep, aveva dovuto rinviare l’appuntamento con la Division I («Un’altra mattonella sul muro delle difficoltà», come la definisce lo stesso Tomas).
UMKC, avversaria di Lever e di Da Campo nella WAC, lo voleva. Anzi, era tutto fatto, nero su bianco. Poi però sono emersi dei problemi di eleggibilità e addio Division I. O meglio, a più tardi. Woldetensae ha quindi trovato posto a Indian Hills, junior college nel quale è rimasto per due anni e che è abituato a sfornare atleti da D1 a ciclo continuo: «Lì ho avuto la possibilità di giocare e crescere, imparando a capire che tipo di giocatore fossi», ci dice.
E che tipo di giocatore è Woldetensae? Come già accennato, è una guardia con un tiro eccezionale. Range, varietà di soluzioni, continuità, efficienza (47.6% dall’arco), volume (7.5 tentativi a partita): c’è praticamente tutto quel che si può desiderare dalla linea dei tre punti. Insomma, un tiro buono abbastanza da poter aprire qualsiasi porta a livello di D1. Il suo nome non ha faticato a circolare in questa stagione e i riconoscimenti arrivati (giocatore dell’anno nella sua conference e inserimento nel miglior quintetto della NJCAA) hanno fatto da ciliegina sulla torta.
Illinois, Nebraska, UCF erano solo alcune delle tante che lo inseguivano ma alla fine è stata Virginia a spuntarla. Con Francesco Badocchi formerà una coppia italiana mai vista prima in NCAA a un livello così alto: «Non ci conoscevamo prima però abbiamo scoperto di aver giocato contro nelle giovanili qui in Italia, io con la BSL e lui con Cernusco». Nonostante la liaison con un altro azzurro, la “scoperta” di UVA, per Wolde, è passata tutta dal confronto col coaching staff («[Badocchi] non mi ha raccontato niente perché lui era già partito per la sua pausa»). Frankie, tempo fa, ci raccontò di come Bennett e soci abbiano un modo particolare di confrontarsi coi giocatori in fase di recruiting, che non riduce il tutto a parlare sempre e solo di pallacanestro: «Per me è stato in parte così e in parte basket. Una cosa bilanciata come cerco io».
Quando si scrive di lui, si parla soprattutto della sua mira: ma quali altre qualità lo contraddistinguono in campo? «Probabilmente il playmaking», ci risponde l’interessato. Capacità tecniche e taglia gli permettono di poter occupare qualsiasi ruolo da esterno nel college basketball. Il suo ball handling è di livello e, a tal proposito, se vi trovate a Bologna ed è inizio estate, magari date un’occhiata ai playground di quelle parti, perché nell’ultimo paio d’anni ci sono arrivati alcuni messaggi abbastanza estasiati da chi l’ha visto destreggiarsi sui campi in cemento.
Chiudendo questa parentesi e tornando sul parquet, coach Comastri pone l’accento su un altro aspetto: «La cosa che ha migliorato di più è il suo apporto di fisicità all’interno della partita. Mi ha impressionato la sua capacità di lavorare proprio a livello di quantità. Questa cultura tipicamente americana lo ha migliorato ulteriormente». A proposito di cultura, di mentalità, c’è altro che sembra affiorare: «Vuole essere il tipo pronto a prendersi certi tiri in situazioni dove c’è pressione, come ha fatto per noi più e più volte, ma trae altrettanta soddisfazione dal successo della squadra, indipendentemente da chi si prende la gloria», ha detto recentemente Hank Plona, suo coach a Indian Hills, ai microfoni di Jerry Ratcliffe. Musica per le orecchie di Tony Bennett.
Per quanto riguarda invece l’altra metà del campo, Tomas ci dice che la difesa è ciò in cui sente di dover migliorare maggiormente e che proprio questo motivo lo ha spinto a scegliere Virginia. La Pack Line Defense richiede tempo per essere assimilata e, a prescindere da ciò, Woldetensae avrà tanto lavoro davanti a sé. Per quanto sia estremamente inusuale vedere un transfer da junior college in quel contesto, ci sono comunque alcuni aspetti del suo repertorio che possono indurre all’ottimismo da questo punto di vista: «È un giocatore molto intelligente, che può giocare d’anticipo. Penso che sia un buon difensore e che abbia i mezzi fisici per diventare un grande difensore», ha detto Plona sottolineando anche come il wingspan a dir poco notevole di Tomas (2.08 metri) si abbini a una certa rapidità.
Via Kyle Guy e Ty Jerome al Draft, via anche Marco Anthony che ha deciso di trasferirsi: il backcourt di Virginia aveva un bisogno enorme di forze fresche da affiancare a Kihei Clark, Kody Stattmann (visto poco finora ma ne sentirete parlare) e al freshman Casey Morsell. Per Tomas, insomma, c’è l’opportunità di ritagliarsi spazio sin da subito in un contesto d’élite. La sfida è complessa ma l’occasione di continuare a disegnare una parabola personale in salita era davvero troppo ghiotta per lasciarsela scappare.