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Week 12: Ed Cooley e la peggior settimana della sua carriera

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 29 Gen, 2024

Coach Cooley becca mazzate in casa e in trasferta, regalando grandi gioie ai fan di Providence. Ecco le pagelle della Week 12.

 

Jordan Pope (Oregon State). Più che una settimana da Pope, una settimana da Dio. La guardia dei Beavers ha fatto impazzire Arizona con una prova da videogioco in modalità facile, specialmente in crunch time: 31 punti e buzzer beater della vittoria (con un uno stepback da appendere in un museo) per un upset che, anziché ubriacare la truppa di coach Wayne Tinkle, ha fornito ulteriore carburante a una squadra che fin lì ne aveva perse 5 di fila. Sabato infatti è arrivato un successo di autorità su Arizona State (84-71), con Pope ancora una volta in vesti di leading scorer (19 punti). Forse il miglior underclassman di cui nessuno parla.

Boo Buie (Northwestern). Solitamente la sua vittima sacrificale vestiva i panni di Purdue, stavolta invece veste l’arancio di una Illinois in Top 10. In un batti e ribatti di canestri, all’overtime ci ha pensato Buie a mettere la freccia per Northwestern con una tripla spacca equilibrio, seguito poi da un’altra bomba di Brooks Barnhizer. 29 punti alla fine, poi seguiti da 19 nella vittoria con Ohio State. Un nanetto malefico capace di incendiarsi e soprattutto di portare Northwestern al Torneo, il che è una rarità. Godiamocelo per questi ultimi mesi.

 

La rimonta di Wyoming. La Mountain West delle meraviglie regala un’altra perla. Sotto di 11 punti con meno di un minuto da giocare, i Cowboys non si sono arresi, dando vita a una delle più grandi rimonte nella storia della Division I se parliamo di deficit recuperato con meno di 60 secondi sul cronometro. Un paio di triple, un paio di falli evitabili di Colorado State e una rimessa dal fondo decisiva, guadagnata per un pelo, per mandare la gara ai supplementari, infine vinta per 79-76. Al quarto tentativo stagionale, è arrivata così la prima vittoria in 6 anni contro un ranked team.

Richmond. Eravamo tutti così presi da Dayton e dalle sue 13 vittorie filate che quasi non facevamo caso a UR nell’Atlantic 10. Ora però la seconda striscia vincente più lunga appartiene proprio agli Spiders, che hanno teso una bella trappola ai Flyers battendoli per 69-64 sul proprio parquet. Primato in classifica (7-0) per una squadra davvero solida, non sfavillante ma concreta in attacco e spesso dominante nella propria metà campo. Un testamento della bravura di coach Chris Mooney e anche della sua capacità di adattarsi ai tempi (quasi tutta la rotazione è composta da giocatori pescati nel portal nell’arco delle ultime due offseason).

 

Appalachian State. Quando tutti (giustamente) stravedevano per James Madison, ve lo avevamo detto che bisognava tenere d’occhio anche App State nella Sun Belt. E ora eccoci qua davanti a una JMU da tempo non più imbattuta (e quasi del tutto out dal discorso at-large bid) e dei Mountaineers che, facendo leva su una delle migliori difese del mondo mid-major, ora l’hanno sconfitta due volte su due, l’ultima sabato davanti a oltre 8mila spettatori, prendendo saldamente le redini della conference con record 8-1.

Caleb Love (Arizona). Chi ci capisce qualcosa con Arizona è bravo. Il talento c’è, il manico pure, ma a gennaio la squadra non ha giocato da grande se non a tratti. Love in carriera era stato la quintessenza del giocatore croce e delizia ma a dire il vero è stato forse il primo esente da colpe nella sconfitta con Oregon State (sì, 5 perse, ma anche efficiente al tiro con 23 punti) e poi ha fatto fuoco e fiamme nella vittoria in trasferta, molto importante, con Oregon, piazzando un career-high da 36 punti con 12/18 al tiro e 7/8 ai liberi. Cosa chiedergli di più?

 

Chance McMillian (Texas Tech). È il caso di considerare Grant MacCasland come candidato a coach dell’anno. Texas Tech guarda la Big 12 dall’alto continuando a vincere anche ora che le partite si sono fatte complicate. Nella grandissima gara con Oklahoma è Chance McMillian a prendersi il palcoscenico: 27 punti, 10/13 dal campo, sei bombe e una risposta colpo su colpo in un secondo tempo in cui gli attacchi si sono presi la scena.

Tommy Bruner contro Kaleb Stewart. Le difese allegre della Summit League regalano spesso gioie agli amanti degli attacchi a briglia sciolta. Il duello fra Bruner di Denver e Stewart di South Dakota però va al di là: 49 punti per il primo e 44 per il secondo in una sfida decisa solo dopo due OT (111-110). Bruner sta facendo sfracelli quest’anno (leading scorer della D1 con 26.1 punti di media) ed è l’eroe di una squadra data per spacciata in preseason ma che ora battaglia in conference con un più che onorevole record 4-3 (seconda a pari merito con altre due formazioni in una Summit molto equilibrata).

 

Rienk Mast (Nebraska). È un po’ lo specchio di una squadra capace di fare la voce grossa sul proprio parquet e poi affondare in casa d’altri (1-5 in trasferta in stagione). Il lungo olandese ha tirato fuori una prova superba contro Ohio State martedì (34 punti e 10 rimbalzi), mettendo quasi tutto quello che gli passava per le mani in attacco e facendo anche la propria parte in difesa. Poi però è sostanzialmente sparito (5 punti, 6 rimbalzi, 3 assist ma anche 3 perse) insieme al resto della truppa nel peggior deficit subito quest’anno (-22 con Maryland).

Leonardo Bettiol (Abilene Christian). La squadra fatica quest’anno e le vittorie arrivano un po’ col contagocce, ma il lungo veneto è uno degli italiani più in forma della Division I e ha avuto pochi passaggi a vuoto da metà dicembre a oggi, guadagnandosi un posto fisso nello starting five e segnando in doppia cifra 9 volte nelle ultime 11 gare. Due doppie doppie in settimana per lui, con risultati alterni: 11 punti e 11 rimbalzi nel successo con Utah Tech e poi 14 & 10 (con 2/7 ai liberi e 3 perse, va detto) nella sconfitta patita con Southern Utah.

 

Clemson. Perdere di un punto in casa di Duke non è un disonore, ma il modo in cui la sconfitta è maturata fa davvero male. Il dibattito è aperto sulla validità del fallo fischiato a Josh Beadle che ha mandato in lunetta Tyrese Proctor per i liberi del sorpasso e della vittoria, ma le quattro palle perse – tutte commesse da Ian Schieffelin – negli ultimi due minuti e spiccioli sono state tanto brutte quanto pesanti, di fatto mettendo i Tigers in una posizione scomoda, rivelatasi fatale, nel finale punto a punto.

Auburn. Quanto può costare una sconfitta tirata in un derby? Tanto, soprattutto se l’occasione del riscatto arriva in un posto dove era già caduta Tennessee. Prima vera settimana complicata per i Tigers, a cui è mancato totalmente l’apporto delle guardie sia con Alabama che con Mississippi State. L’Iron Bowl di Aden Holloway è stato così brutto da non partire in quintetto contro i Bulldogs, ma KD Johnson, lo conosciamo, non è che ha fatto meglio. Questa settimana per capire se è stato un passaggio a vuoto o se qualcosa si è incrinato.

 

La panchina di Kansas. Bill Self avrà anche risolto il problema del quinto titolare, ma non quello della panca. Nella sconfitta in trasferta contro Iowa State, due miseri punti da parte di Parker Braun. Per il resto, buio totale, neanche tiri da parte di Elmarko Jackson (una delle grandi delusioni di questa annata di freshmen) e tre errori da parte di Nick Timberlake. I Jayhawks inoltre stanno facendo una fatica cane a difendere le triple (14/30 per i Cyclones). In questa complicatissima Big 12 bisogna trovare velocemente una quadra per risalire.

Villanova. Justin Moore è tornato ma è ancora lontano dalla forma migliore, e la squadra ne risente. I Cats ne hanno perse quattro di fila e le due L rimediate in settimana fanno malissimo: -20 con St. John’s, che non faceva lo sweep a Nova da 31 anni, e poi la caduta in casa di Butler dopo un doppio supplementare in quella che poteva (e doveva) essere una vittoria netta, visto il vantaggio piuttosto largo maturato e mantenuto per circa tre quarti dei tempi regolamentari. Al momento non vale un posto al Torneo.

 

Justin Edwards (Kentucky). Sono 2 i punti della sua settimana per uno dei talenti più attesi del college basket (#3 della recruiting class di Espn) che si è perso nel nulla e, con il ritorno di Adou Thiero, ha perso anche il posto in quintetto. Invisibile contro South Carolina, deprimente contro Arkansas con un passi in partenza da giocatore di minibasket che gli ha immediatamente aperto le porte della panchina. Da 40 giorni non segna in doppia cifra e Calipari lo utilizza sempre di meno. Assolutamente a ragione.

Arkansas nel caos. Il Muss Bus ha le ruote sgonfie: sei sconfitte nelle ultime sette gare, un -26 con Ole Miss in settimana e, qualche giorno dopo, il veterano Devo Davis – in grossa difficoltà, come raccontatovi lunedì scorso – lascia la squadra in circostanze non chiarite ufficialmente da nessuna delle due parti. Sì, la partita con Kentucky, pur persa, ha mostrato un’Arkansas migliore del solito ma la svolta vera deve ancora arrivare.

 

Ed Cooley (Georgetown). 1-8 nella Big East e l’unica vittoria è arrivata con DePaul, quindi quasi non vale. A GTown il rebuilding, se avverrà, richiederà un po’ di tempo. Per i fan rimane però un po’ difficile digerire un -24 in casa con Butler, con l’head coach che rifiuta di parlare ai suoi giocatori durante un timeout, restandosene solo in panchina. Mossa psicologica, quello che vi pare, ma non una bella scena. A Cooley però va il merito di aver creato da solo uno dei migliori spettacoli della regular season facendo un semplice atto di presenza, subissato di fischi in un revenge game atteso da mesi a Providence. “If anything, I should ask Providence College for a bonus check for the energy that was in here”. Il solito troll.

Pacific. Se giochi in una mid-major conference di livello come la West Coast ma sei alla #345 su KenPom significa che stai facendo qualcosa straordinariamente scadente. 6-16 in stagione, 0-7 nella WCC e una delle sconfitte più umilianti viste quest’anno: 76-28 con la capolista Saint Mary’s mettendo insieme un bel (si fa per dire) 10 su 50 dal campo.

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