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Edey, Burns, Clingan e Sears: quattro stelle per una Final Four

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 2 Apr, 2024

Tutti gli occhi saranno puntati su di loro durante le Final Four: Zach Edey, DJ Burns, Donovan Clingan e Mark Sears sono stati i grandi protagonisti di questa March Madness. Vediamoli nel dettaglio.

 

Zach Edey

L’ultima volta che Purdue è arrivata a una Final Four era il 1980 e anche in quel caso era un centro a guidare la squadra, un certo Joe Barry Carroll. A distanza di 44 anni tocca al gigante Zach Edey essere il volto dei Boilermakers. Lui che a basket non ci voleva giocare “per principio”, perché tutti dicevano che così alto doveva per forza darsi alla pallacanestro.

E così il ragazzo di Toronto ci ha messo un po’, ha iniziato tardi, ma ha recuperato in fretta. Certo, in parte i suoi 224 centimetri non si possono insegnare, ma c’è dell’altro. Di giocatori molto alti se ne sono visti parecchi, ma non tutti hanno mostrato la forza mentale, la costanza e anche le mani del centro canadese, cresciuto stagione dopo stagione al college.

Una grafica di EvanMiya che illustra la differenza abissale di rendimento fra Zach Edey e altri giocatori di taglia simile

L’anno scorso Edey ha vinto il National Player of the Year, riconoscimento che salvo meteoriti sulla terra rivincerà anche nel 2024 per il secondo anno di seguito. Non accadeva dai tempi di Ralph Sampson che un giocatore si aggiudicasse il premio per due anni consecutivi e gli altri nomi del club sono pazzeschi: Oscar Robertson, Jerry Lucas, Kareem Abdul-Jabbar e Bill Walton.

Miglior marcatore della stagione con 25 punti a partita, secondo miglior rimbalzista con 12.2 per gara e grande tiratore di liberi (71%) dote molto utile se sei il giocatore che ne tenta molti più degli altri ogni match (11.5). Ovviamente è anche clamorosamente primo nel Player Efficiency Rating (staccando di parecchio Donovan Clingan, il lungo di Connecticut) o nel KenPom ranking per il miglior giocatore, facendo segnare un punteggio cui si è avvicinato nella storia solo Frank Kaminsky (l’attuale valutazione risale al 2013). Eppure, nonostante sia stato per due stagioni il miglior giocatore della Ncaa, quest’anno Edey sembra avere qualcosa in più. Una consapevolezza e una maturità che stanno portando gli esperti a interrogarsi seriamente sul suo utilizzo in NBA, ossia in un basket sempre più “positionless”. Gli estimatori non mancano e ha aiutato il fatto che nella partita per l’accesso alla Final Four, contro Tennessee, Edey abbia trascinato Purdue con una prova mostruosa da 40 punti (career-high) e 16 rimbalzi. Peraltro, ha eguagliato David Robinson per partite consecutive al Torneo con almeno 20 punti e 10 rimbalzi. Un altro record, così.

E pensare che l’anno scorso i super favoriti Boilermakers erano stati eliminati al primo turno. Una sconfitta che ha pesato per tutti. Per coach Matt Painter ma anche per Edey. Quando ha iniziato, anni fa, i primi commenti su di lui erano di questo tenore “He’s just tall, if he wasn’t 6-foot-8 he’d be flipping burgers”. La risposta dopo la gara contro i Volunteers è stata come togliersi un gigantesco sassolino dalla scarpa. “They thought they knew us, man. They thought they knew what we had in our hearts. I’ll promise you they didn’t. We’re f—ing winners. This what we do.”

 

DJ Burns

È una storia e un giocatore molto da college basketball: DJ Burns sta vivendo il suo One Shining Moment guidando l’incredibile corsa di NC State. 209 cm per oltre 130 chili di centro con una mano sinistra morbidissima, un talento di high-major con un fisico difficilmente incasellabile in schemi e gioco moderni. É il motivo principale del fallimento della sua prima avventura a Tennessee, la squadra che l’aveva reclutato in high school.

Come tanti nel suo caso ha deciso di scendere di livello è giocarsi le sue chance fra le mid-major. Il matrimonio con Pat Kelsey e Winthrop è stato perfetto, anche se sulla carta sembrava incredibile. Di fatti, come poteva un corpo del genere incastrarsi con uno stile press e ad alto ritmo del neo coach di Louisville? Il Covid gli ha tolto il primo viaggio al Torneo, ma gli rimangono due titoli di Big South vinti da protagonista per poi salire nuovamente di livello. Ad NC State è arrivato più pronto, più esperto e dopo un anno di rodaggio, in cui i risultati passavano dalle lune di guardie sconclusionate, è arrivata la rivincita.

“Un orso polare con i piedi da ballerina” in grado di dominare il secondo tempo contro Duke, 21 dei 29 punti sono arrivati nella rimonta, e di sfottere a fine partita panchina e tifosi rivali. 17.9 punti di media in questa incredibile striscia di nove vittorie consecutive che sta regalando un sogno, dopo oltre quarant’anni, a North Carolina State.

Una rivincita arrivata dopo anni di college basketball in cui è stato un protagonista di culto, di quel sottobosco che difficilmente vedrà una carriera professionistica (quantomeno nel basket, in NFL sono molto interessati) ma che al momento sta guadagnando i meritati riflettori.

 

Donovan Clingan

C’è anche un pezzettino d’Italia alle Final Four, un pezzettino che fa sognare improbabili passaporti del nostro paese per Donovan Clingan, il centro che proverà a guidare UConn a un repeat molto difficile e raro nella storia dell’Ncaa. Irlandese da parte di padre, la madre di Clingan si chiama invece Stacey Porrini ed è lei la connessione con l’Italia. Si chiamava in realtà, perché 6 anni fa è morta per un tumore al seno e Clingan gioca con il numero 32 in suo onore, lei che fu una delle stelle dell’università del Maine con cui ha giocato per tre volte la March Madness. Centro come il figlio, è stata lei a insegnargli le basi di una pallacanestro fatta di rimbalzi, stoppate e movimenti in post che il ragazzo ha imparato piuttosto bene.

Aveva 14 anni quando Stacey è morta e da allora gioca per lei, sempre restando nel suo Connecticut dove è nato. E gioca sempre meglio: a soli 20 anni è uno dei grandi protagonisti del college basket ma ancora per poco, visto che l’Nba lo aspetta e se lo prenderà con una chiamata al primo giro che sarà ormai quasi certamente nelle prime 10. Perché alla March Madness sta confermando tutto quanto di buono sta facendo vedere da due anni con la maglia degli Huskies: dopo la scorsa stagione passata a prendere botte e a imparare i movimenti da centro da Adama Sanogo, quest’anno è il perno soprattutto difensivo, ma anche offensivo della squadra di Dan Hurley.

È e resterà sempre un giocatore d’area, perché è lì dove i suoi 218 cm sono più efficaci e dove il suo wingspan vicino ai 235 cm si fa sentire. Sono quasi 2.5 le stoppate di media e 7.5 i rimbalzi, il tutto in soli 22 minuti passati sul parquet in cui realizza 13 punti, cifre che sono tutte aumentate nelle 4 partite del Torneo che Donovan Clingan ha semplicemente dominato, stendendo un tappeto rosso sul quale i suoi compagni hanno passeggiato fino alle Final Four con uno scarto medio che si avvicina ai 30 punti, senza che nessun’avversaria sia riuscita a toccare i 60 punti segnati. Un percorso che comprende l’incredibile parziale di 30-0 rifilato a Illinois nelle Elite Eight, partita chiusa con 22 punti, 10 rimbalzi, 5 stoppate in 22 minuti di pura intimidazione: secondo il servizio statistico di Espn, i giocatori di Illinois che hanno provato a tirare contro di lui hanno prodotto un eloquente 0/19.

Una prestazione “Billwaltonesca”, l’ha definita coach Hurley che si gode la maturazione del suo centro che non avrà mai la mobilità di un ballerino ma che ha migliorato e non di poco la velocità dei suoi piedi, oltre ai movimenti per concludere a canestro con un range di tiro che sta progressivamente aumentando. Non solo difesa, quindi, ma ormai è un giocatore completo. Che, nel nome della madre, è pronto al repeat.

 

Mark Sears

“Un clone di Jalen Brunson”. “Un Jalen Brunson dei poveri”. Da Kevin O’Connor a John Rothstein, questo paragone si è sentito spesso negli ultimi tempi. Ed è innegabile, qualcosa c’è: la taglia, certe movenze e la mano sinistra per tirare. Non vedrete però Mark Sears giocare in post basso come un lungo consumato né interpretare il ruolo di floor general nel mondo in cui faceva la point guard di Villanova. In compenso, il tiro da tre è quello. Anzi, pure meglio. Parecchio meglio: 44.7% su ben 9.5 tentativi in questa March Madness (43.4% su 5.9 in stagione) a fare il paio con una capacità spiccata nell’affondare il coltello in penetrazione. Quando va a caccia di triple, invece, si muove lontano dal pallone con precisione e naturalezza, sa perfettamente mettersi in ritmo da solo e non puoi lasciarlo libero nemmeno nei pressi del logo. I suoi sette canestri da oltre l’arco sparati in faccia a Clemson hanno aperto le porte a una storica Final Four per Alabama e il nativo di Muscle Shoals, paesino a un paio d’ore di macchina da Tuscaloosa, può dunque già ora essere immortalato come il più grande di sempre a vestire la canotta dei Crimson Tide.

Bravo coach Nate Oats a riportarlo vicino a casa due anni fa e poi aiutarlo a sprigionare completamente il proprio talento dopo una stagione di assestamento nella SEC, ma Sears rientra anche nel novero delle perle scovate da Jeff Boals a Ohio: magari non sbucato dal nulla come un Jason Preston, ma lo status di prospetto 3-star e l’assenza di positional size proprio non gli avevano fatto grandi favori in ambito di reclutamento. Inizi umili, insomma, al servizio di una mid-major che ha poi sorpreso tutti: Mark Sears sa bene quant’è dura la strada che porta alla vetta (“Hard work is always undefeated. I wouldn’t be here without the hard work. Look at me, I’m 6-1”) e, nonostante una stagione di livello alto sin dall’inizio, solo ora gli viene riconosciuto il rango di superstar del college. Però non ha l’impressione di essere uno che si è accontentato.

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