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I protagonisti delle Sweet 16 2024

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 28 Mar, 2024

Qualcuno è forte al college, qualcuno lo sarà in NBA, qualcuno è simpatico. Ecco alcuni dei protagonisti delle Sweet 16.

 

East Region

UConn

Tristen Newton – Il giocatore simbolo, il più forte, il più continuo. Quello che se tutti giocano bene non lo noti, ma quando la squadra si siede sale in cattedra. Attaccante, assistman, glue guy. Una guardia di 1,98 che fa tutto bene. E anche nelle partite da 0/6 da tre come quella contro Northwestern recupera con 7/7 da due e 10 assist. Un giro in NBA lo fa di sicuro, bisogna capire solo dove e come.

Donovan Clingan – L’unico dubbio sul centro di quasi 2.20 è la tenuta fisica (come spesso accade per i giocatori così alti). Per il resto Clingan è un giocatore potenzialmente da NBA. In fase difensiva ha rapidità, leve e tempi in aiuto già ottimi e in attacco sa concretizzare i palloni vicino al ferro.

Stephon Castle – UConn si merita la citazione di ben tre giocatori perché tutti e tre sono papabili NBA. Castle nel mix tra mezzi fisici ed età è il prospetto più interessante. Una guardia-ala di due metri classe 2004. Gli manca un tiro affidabile per poter essere già giudicato un crack, ma il potenziale c’è tutto.

San Diego State

Jaedon LeDee – 210 centimetri di potenza e di mani educate. Gli anni al college, ben cinque, hanno trasformato LeDee in un giocatore che nel 2019 nemmeno si intuiva. Nei suoi primi quattro anni al college ha giocato da lungo puro e ha tentato in totale 16 triple segnandone zero. Quest’anno viaggia al momento a 17/39 dall’arco. Pazzesco. Miglior realizzatore e miglior rimbalzista della squadra. Se si ferma lui, San Diego State si trasforma in una mid major qualsiasi.

Illinois

Terrence Shannon – Probabilmente fuori dal parquet non deve essere il ragazzo più facile da frequentare, ma in campo mostra talento e faccia tosta. Sa segnare in tutti i modi e in velocità e in acrobazia è quasi inarrestabile. Probabilmente ogni tanto pecca nella selezione di tiro, ma è reduce dalla sua miglior stagione in carriera. La self confidence non manca.

Marcus Domask – Un gioiellino pescato da coach Underwood da Southern Illinois. Domask è una guardia-ala bianca che sta giocando il miglior basket della sua vita nonostante abbia le sue peggiori percentuali da tre. Ma nel mid range, tra jumper, e piede perno usato fronte e spalle a canestro è un professore. Uno spettacolo per gli occhi.

Iowa State

Tamin Lipsey – Scegliamo lui e non Keshon Gilbert perché in questa March Madness il trottolino alto 1,84 ha spesso tolto le castagne dal fuoco nei momenti di apnea offensiva. Il suo dinamismo si evince anche dal fatto che è il secondo rimbalzista (4.6) di una squadra a trazione difensiva. Ma sfiora anche il 40% da tre punti, che non guasta mai.

Milan Momcilovic – Le origini slave sono nel nome, ma è un freshman cresciuto nel Wisconsin. Il suo è stato un anno da incorniciare, che come apice ha avuto il buzzer con cui Iowa State ha sconfitto Houston nella partita di Big 12. Solido, con un letyale jumper in fade-away, i margini di crescita sono enormi.

 

West Region

North Carolina

RJ Davis – Un po’ snobbato in ottica pro per via della taglia (183 cm), ma è uno di quelli che potrebbe smentire parecchi scettici in NBA e, in ogni caso, al college ce lo stiamo godendo alla grandissima. Scorer off the ball e tiratore assolutamente d’élite, non ha praticamente mai una brutta giornata e, pur in mezzo a una squadra piena di armi affilate, mantiene la quarta miglior media punti fra i giocatori di high-major (21.3).

Armando Bacot – La morte, le tasse e Bacot che domina in area. Cinque anni al college (omaggio del covid year) di cui gli ultimi tre spesi a viaggiare in doppia doppia di media. Indigesto per gli avversari in post e rollante molto efficace: nulla di nuovo sotto il sole, eccetto per delle percentuali ai liberi migliorate di colpo (78.1%), il che non è male visto che in lunetta ci va con buona frequenza.

Harrison Ingram – Non è la stella principale di UNC ma rimane quello in genere più quotato in ottica NBA. Combo forward che offre qualità e versatilità in crescita nelle due metà campo: ai rimbalzi e alle capacità di giocare dal palleggio ha aggiunto un tiro notevolmente migliorato quest’anno (38.7% da tre su 4.5 tentativi).

Alabama

Mark Sears – Ai Crimson Tide non mancano le bocche da fuoco ma, alla fin fine, vanno dove va lui. Scorer tremendamente efficace (21.5 punti di media), più spesso attaccando dal pick and roll o in isolamento ma anche lontano dalla palla non scherza, perché da piazzato o da consegnato sa fare malissimo. Potrà fare un quinto anno da All-American o essere una scommessa da fine secondo giro al Draft: questo dipende anche da quanto lontano riuscirà a portare Alabama in questa March Madness.

Arizona

Caleb Love – Se la scatola di cioccolatini di Forrest Gump fosse un giocatore di basket, sarebbe Caleb Love. Ogni volta che scende in campo, può essere il giorno in cui non la mette in una vasca o può essere quello in cui può mettere pure una vasca nel canestro. L’aria di March Madness comunque lo ispira e nei primi due turni ha dato qualche flashback del Torneo 2022. Vediamo se regge.

Pelle Larsson – Già aveva conquistato il cuore dei tifosi di Arizona, ora anche quello degli scout: non è il più atletico (e nemmeno quello meno atletico, a dirla tutta) o quello che mette su stats da fa brillare gli occhi, ma impatta la gara praticamente in ogni modo possibile. Tiratore affidabilissimo, playmaker aggiunto sempre prezioso, difensore perimetrale di alto livello e anche bravo rimbalzista per il ruolo. Silenzioso solo all’apparenza e vincente vero.

Clemson

PJ Hall – Clemson ha vinto e convinto nei primi due turni nonostante un Hall un po’ meno brillante del solito: pessima notizia per Arizona, perché il suo momento potrebbe arrivare adesso. Il suo arsenale da scorer inside-out, unito a QI e spirito battagliero notevoli, potrebbe creare grattacapi difensivi considerevoli per il frontcourt avversario.

 

South Region

Houston

Jamal Shead – Sergente fatto di muscoli e acciaio e la fama di essere clutch. È l’emanazione di coach Kelvin Sampson in campo: duro in difesa, intelligente ed efficiente in attacco, capace di capire la giocata che serve alla squadra. 21+10 assist e 5 rimbalzi contro Texas A&M più la difesa sulle temibili guardie Aggies senza mai uscire dal campo. Questo è Shead.

Emanuel Sharp – Fra i tanti colpi di scena nella partita contro Texas A&M il suo marchio sulla vittoria è evidente. 30 punti, 7/14 da tre, un tiratore piedi per terra a cui non puoi lasciare un minimo di spazio e che viene armato da Shead e dai lunghi di Houston appena possono. Se lui è in giornata, raramente Houston stecca.

Marquette

Tyler Kolek – Non gli daresti una lira e invece quando è in campo si sente eccome. Non è esplosivo né particolarmente veloce ma tecnicamente controlla il gioco come pochi altri. È il miglior assistman che si trova ancora in gioco al Torneo e nelle prime due gare ne ha serviti 11 di media. È il metronomo della squadra e con lui in campo Marquette ha una marcia in più.

Kam Jones – Qualcuno deve segnare punti a referto e quello con le maggiori responsabilità per Marquette è Kam Jones. I possessi li gestisce Kolek ma i tiri li prende Jones. Miglior marcatore di stagione, è quello cui più spesso la squadra si affida quando si rompono i giochi. Una guardia che gioca da ala, dinamico ed energico.

NC State

DJ Burns – Un centrone morbidone di 130 chili dai piedi fatati e una mano mancina capace di torchiare gli avversari. Nelle sette vittorie in undici giorni per NC State il marchio dell’ex Winthrop è notevole. Texas Tech e Oakland non hanno avuto un lungo per arginarlo e lui ha risposto con venti punti di media nel primo weekend. Un giocatore di culto, di quelli che si vedono solo al college e che diventano famosi solo grazie alla March Madness.

Duke

Jared McCain – È partito in sordina, ma oggi è il miglior prospetto dei Blue Devils, una guardia fisicata che preferisce il tiro alla penetrazione e che gioca con grande personalità. Il suo 8/11 da tre ha spazzato via James Madison e lo ha portato ancora di più sotto i riflettori. Nelle gare del torneo ha preso anche 11 rimbalzi totali. Al momento il freshman è il più in forma di Duke.

Kyle Filipowski – Il miglior marcatore e il miglior rimbalzista della squadra. Un altro che in NBA ci finisce al 100% e che ha tutte le carte per restarci. Pochi peraltro si sono accorti che rispetto alla scorsa stagione il tiro da tre è nettamente migliorato (dal 28% al 34%) mentre grazie ai suoi 212 cm resta un rimbalzista affidabile. Fondamentale per gli equilibri del team.

 

Midwest Region

Purdue

Zach Edey – Ingiocabile, inarrestabile, semplicemente alieno. Chi vuole provare a battere Purdue, deve farlo nonostante Edey domini sotto canestro. Rende tutto più facile per i suoi, meno per i rivali e ha approcciato questo Torneo con la faccia di chi non vuole essere ricordato per gli upset. Numeri da Kareem: 30+21 alla prima, 23+14 contro Utah State, il tutto con assist e stoppate. Più facile pregare che si fermi che marcarlo.

Loyer & Smith – Ormai vanno in coppia, sono i due compari del gigante sotto canestro. Fletcher Loyer più versione scorer, Braden Smith più creatore per altri (16 assist in due partite). Quando tutto gira alla perfezione e tutti contribuiscono come contro Utah State, non servono grandissimi picchi da parte loro. Resta da capire chi dei due risponderà presente nel momento del bisogno: solitamente non lo fanno insieme nella stessa partita.

Gonzaga

Ryan Nembhard – La mente di uno degli attacchi più caldi del momento. Sangue freddo, visione, polso sulla gara, dalle mani dell’ex Creighton la palla prende vita e Gonzaga diventa pericolosa. Non l’abbiamo ancora visto mettersi in proprio, ma viaggia a quasi 11 assist di media da quando marzo è sul calendario. Sta tirando malino in questo Torneo: se dovesse anche aggiustare la mira, saranno dolori.

Anton Watson – Lo conosciamo da anni: uno dei lunghi più intelligenti della Division I. Così intelligente da integrarsi benissimo nel nuovo sistema a tre lunghi che sta facendo la fortuna di Gonzaga. Tutto il suo playmaking secondario è esploso nella quasi tripla doppia contro McNeese (13+13+9 assist) e contro Kansas è arrivato il suo rinnovato tiro da tre (40% in stagione). Un pezzo cruciale per questa Gonzaga.

Graham Ike – Roccia sotto canestro che difende, valvola di sfogo in attacco che grazie alle sue mani morbide e i suoi istinti a rimbalzo. Importantissima la sua presenza lungo tutta la stagione per Gonzaga, ancora di più ora che anche gli altri intorno a lui sono sbocciati. Ora è chiamato allo scontro titanico con Zach Edey in cui i suoi 206 centimetri peseranno tantissimo.

Tennessee

Dalton Knecht – È finito il primo weekend e nessuno, giustamente, ha parlato di Knecht. Perché ormai viaggiare a 20 punti di media non fa più notizia. Gli standard a cui ci ha abituato sono altri. Fra gli attaccanti più versatili e letali degli ultimi anni, ma Tennessee è sopravvissuta contro Texas ad una secca offensiva, anche di Knecht, paurosa.

Zakai Ziegler – La chiave di un attacco che stranamente funziona a Tennessee non passa solo da Knecht, ma anche dalla presenza di almeno tre playmaker in campo in ogni momento. Ziegler è il principale, con la sua rapidità crea vantaggi e spezza raddoppi, innescando quel giro palla che i vari Santiago Vescovi e Jordan Josiah James sanno mantenere o addirittura moltiplicare.

Creighton

Ryan Kalkbrenner – Uno dei difensori più temibili e continui degli ultimi anni. I Bluejays basano tutta la loro difesa sulle sue capacità di rim protector e di rimbalzista, ma Kalkbrenner dà il suo anche in attacco, come Oregon ha ben scoperto settimana scorsa. Pronto a fare sportellate con chiunque.

Baylor Scheierman – Tutto quello che c’è da fare in campo lo fa. È l’aiuto perfetto: dà una mano a rimbalzo a Kalkbrenner, ad Ashworth nel creare, ad Alexander a livello realizzativo. Tutto questo rimanendo in campo il più possibile. Uno stacanovista tuttofare importantissimo per gli equilibri dei Bluejays.

Trey Alexander – Se c’è un pallone caldo, state sicuro che lo gestirà lui. Calato nelle percentuali lungo tutta la stagione, tanto che il riconoscimento dell’All-American è andato a Scheierman e non a lui. Però rimane uno scorer per vocazione: 34 tiri in due partite, percentuali un po’ bassine, ma le attenzioni che reclama dalle difese sono importantissime per aprire spazi agli altri.

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