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Auburn e Pearl, intrusi di carattere

Autore: Raffaele Fante
Data: 3 Apr, 2019

A un secondo e un decimo dalla sirena del primo turno, Auburn ha visto la fine della sua March Madness molto vicina. Bryce Brown ha appena commesso il fallo più stupido della sua carriera e Terrell Brown, guardia di New Mexico State, ha tre liberi per eliminare i Tigers. Due finiscono sul ferro e quindi ad andare a casa sono gli Aggies. E così ha inizio l’assurda cavalcata di una squadra assurda verso Minneapolis.

“E’ abbastanza surreale andare alle Final Four, vorrei comportarmi come se ci fossi già stato, ma non ci sono mai stato”: Bruce Pearl è un paffuto personaggio che ha vissuto a modo suo 59 anni dedicati al basket. Ha portato Southern Indiana al titolo della Division II, Wisconsin-Milwaukee alle Sweet 16, Tennessee alle Elite 8 e Auburn alle Final Four. Ma è anche stato licenziato da Tennessee, sospeso per 3 anni dall’Ncaa, coinvolto nell’ultima indagine dell’Fbi e a un passo dal licenziamento anche con Auburn. Ha adottato il pace and space ben prima di Mike D’Antoni con i Phoenix Suns e il tiro da 3 è stata la sua prima opzione anni prima che fosse la prima opzione dei Golden State Warriors di Steph Curry. Ma si è infilato anche nel costume di un pupazzo, si è dipinto il petto di arancione per le Lady Vols di Tennessee e si è messo una parrucca bionda per cantare una canzone di Taylor Swift.

Difficile prenderlo sempre sul serio. “The best speech he gave us was before Kentucky”, ha detto Bryce Brown con un sorriso. Ma la guardia di Auburn non parlava delle Elite8, bensì della partita di regular season finita 80-53 per i Wildcats. Era il 27 febbraio e da quel giorno Auburn non ha più perso: 12 vittorie in fila, con titolo nel Torneo della Sec e prima Final Four della storia dell’ateneo, battendo una dopo l’altra Kansas, North Carolina e Kentucky, cioè i tre programmi con più partite vinte nella storia del college basket, compresi 16 titoli Ncaa e 52 partecipazioni alle F4.

Come hanno fatto? “They play better than they are”, ha detto con la saggezza dei suoi 82 anni Sonny Smith, l’unico altro coach ad aver raggiunto con Auburn le Elite Eight nel 1986. Non è cambiato nulla da gennaio, quando i Tigers hanno iniziato la SEC con il record di 2-4 perdendone tre in fila anche contro squadre come South Carolina che il torneo lo sta vedendo in tv. Stessi uomini, stesso stile di gioco: ritmo altissimo, tiri da 3 a pioggia, flex offense, difesa forte sull’uomo per rubare palla, finti lunghi, zero freshman e rotazione con 10 uomini (diventati 9 dopo l’infortunio di Chuma Okeke). E alti e bassi anche all’interno della stessa partita, inevitabili per una squadra che vive essenzialmente di fiammate.

 

Può funzionare, ma anche no. Se il 49.5% dei tuoi tiri arrivano da dietro l’arco dei 3 punti e il tuo unico lungo degno di questo nome, cioè Austin Wiley, gioca poco più di 10 minuti a partita, è chiaro che appena le percentuali calano, il rischio di perdere è molto alto perchè a rimbalzo c’è il deserto e non hai altro schema in attacco da esplorare. Lo sfortunato Chuma Okeke è l’unico giocatore di Auburn a prendere più di 5 rimbalzi a partita e i Tigers hanno perso spessissimo la lotta sotto i tabelloni in stagione, comprese tutte e 4 le partite giocate al torneo. Che però hanno sempre vinto.

Due i motivi principali: la difesa e la coppia Harper-Brown. Il marchio di fabbrica di Auburn è sicuramente il suo attacco da oltre 80 punti a gara, il sesto della nazione per efficienza, ma in realtà vince spesso le partite con una difesa prima per forced turnovers e prima nel rapporto palle recuperate/possessi difensivi. Il che non fa dei Tigers dei parenti neanche alla lontana di Virginia o Texas Tech, ma li rende un avversario capace di spezzare, disturbare, interrompere il flusso offensivo di chi ha di fronte.

 

Il merito va dato soprattutto al backcourt di Bruce Pearl capace di mettere grande pressione sugli esterni avversari. E il parco di ali schierate per completare il quintetto è in grado di difendere più o meno su tutti, anche con il giusto grado di intimidazione

 

Backcourt vuol dire Jared Harper e Bryce Brown. “In the second half, all I did was get … the ball to Jared or Bryce”, ha detto Pearl alla fine della partita contro Kentucky. In due hanno segnato 50 dei 77 punti totali, 35 dei 47 nel secondo tempo, il solo Harper 12 (e 1 assist) dei 17 del supplementare. “Best backcourt in the nation”, ha sentenziato Harper, junior di 1.80 scarsi, razzo creativo e realizzatore da cui passa tutto il gioco dei Tigers. Il primo finalizzatore è invece Brown, tiratore da 16 punti a partita con il 41% da 3. “I’m a senior and I didn’t want to go home. Plain and simple, I didn’t want to go home”, ha detto. Eccoli in azione contro North Carolina

 

Ma non sono stati solo giocatori e aspetti tecnici ad aver portato fino a Minneapolis i Tigers. C’è anche il carattere, perchè Auburn è soprattutto una squadra tosta, che non molla, che si rialza anche quando cade, proprio come il suo coach. Il cerchio si chiude quindi tornando a Pearl. E basta questa foto per capire di cosa stiamo parlando.

 

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