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Zion, uno show lungo una stagione

Autore: Paolo Mutarelli
Data: 2 Apr, 2019

Alla fine è successo. Pur partendo con il seed #1 e con i favori del pronostico in un Regional non così complicato, Duke non è arrivata alle Final Four. I Blue Devils sono sembrati in balia dei piani-partita avversari in ogni gara giocata al torneo, eccezion fatta per l’esordio contro North Dakota State, trasformando quella che doveva essere una passerella per le Final Four in un percorso a ostacoli. Se c’è una ragione per cui Duke è arrivata fino alle Elite Eight, sopravvivendo alla resistenza stoica di UCF e Virginia Tech, questa ha un nome e un cognome: Zion Williamson.

Possiamo definirlo senza problemi e senza timore di smentite come il freshman più sensazionale, mediatico e polarizzante degli ultimi quindici anni di college basketball e possiamo anche dire che sarà uno dei rookie Nba che genererà maggiore hype al momento del Draft. Circolano già voci secondo cui Williamson potrebbe essere il dodicesimo uomo di Team USA ai Mondiali cinesi di agosto (gli americani se sanno che qualcuno o qualcosa mediaticamente funziona, di solito lo sfruttano per bene) o di come si stia per scatenare una guerra tra i principali marchi di scarpe per poterne fare il loro uomo-immagine. Del futuro di Williamson per ora ci interessa relativamente. Val la pena invece ripercorrere la sua stagione magica in maglia Blue Devils.

Mettere le cose in chiaro

A inizio stagione, le incognite su Duke erano legate ai soliti dubbi che sussistono quando un programma recluta tanti potenziali One&Done. In più, l’assenza di esperienza in panchina faceva preferire, almeno in partenza, squadre più profonde e più rodate. C’era poi a roster questo “re delle giocate virali” chiamato Zion Williamson e su di lui c’erano molti dubbi: giocatore vero o solo fenomeno mediatico? Interrogativi che posizionavano Duke come la quarta forza (nel nostro ranking invece terza) della Division I. Nella partita d’esordio i Blue Devils affrontavano l’altrettanto giovane numero 2 della nazione, ossia Kentucky. Quello che è successo ve l’abbiamo raccontato: uno show di Zion e Barrett.

 

Una serie di giocate iconiche e spettacolari in una nottata perfetta, un +34 alla fine sembrato quasi poco alla luce del dominio mostrato dai quattro freshman di Duke. Una netta dimostrazione di forza sotto i riflettori nazionali e contro un avversario sulla carta più forte. Chi impressiona di più? Proprio lui, Williamson. Che peraltro esordisce al college, primo tiro assoluto, segnando una tripla. Un autentico show messo in piedi grazie ad un controllo mentale sulla partita incredibile per un ragazzo di appena diciotto anni. La sua stat-line è da stropicciarsi gli occhi: 28 punti, 11/13 dal campo, una tripla, 7 rimbalzi, 1 stoppata e 1 rubata. La sensazione dopo una sola partita è che però quello davvero forte, il migliore tra i due, sia RJ Barrett, autore di 33 punti.

 

Essere il migliore

Sull’onda dell’entusiasmo dopo la vittoria su Kentucky, Duke balza al primo posto nel ranking Espn. Tutti parlano di Williamson e dei freshman di Duke e partono subito paragoni scomodi con gli indimenticabili Fab Five di Michigan o con la Kentucky del 14/15. Escono storie su come i quattro, diventati amici nei circoli dell’AAU e dei vari tornei giovanili, abbiano voluto riunirsi sotto la stessa maglia per vincere il titolo. Williamson, partita dopo partita, mostra di essere un giocatore intelligente e non solo un fenomeno da schiacciate e giocate spettacolari. Iniziano a vedersi ad esempio le sue eccellenti doti di passaggio e la capacità di correre il campo in palleggio. Certo, poi però rimangono negli occhi di tutti giocate come queste.

 

Nella finale del Maui contro Gonzaga, iniziano a vedersi le prime crepe. La squadra è talentuosa, ma priva di una struttura di gioco, soprattutto offensiva. Gli Zags riescono a sconfiggere Duke di due punti, grazie soprattutto a una grande marcatura su Williamson (incaricato Rui Hachimura), che finisce la partita sotto il 50% di realizzazione, statistica veramente rara nella sua stagione. Gonzaga ha vinto, ma lasciando la sensazione che servano una partita perfetta e anche una discreta fortuna per battere questo robot dall’atletismo alieno. La squadra è ormai nelle sue mani, soprattutto perché si è imposto come leader emotivo e regista della difesa, ossia la parte del campo da cui Duke prende energia e vita per scatenarsi poi in transizione. Nella partita successiva contro Indiana, Zion piazza una windmill del genere.

 

Il dominio e la caduta

Dopo la sconfitta contro Gonzaga, Duke ha qualche vittima da sacrificare sull’altare dello spettacolo per mostrare a tutti che quella vista alle Hawaii è stata solo una brutta copia dei Blue Devils. Il percorso di non-conference prosegue netto e, anzi, si chiude col botto nel magico Madison Square Garden contro Texas Tech, fino a quel momento imbattuta e reduce da un inizio di stagione sorprendente. Poi iniziano le partite di conference, l’esordio è contro Clemson e Williamson in campo aperto decide di far capire chi sarà il padrone della ACC.

 

I Blue Devils sembrano inarrestabili. La sconfitta contro Syracuse all’overtime certifica e alimenta la teoria per la quale solo una partita perfetta può battere i Blue Devils (44% da tre per una squadra che di media ha tirato il 33%). Duke domina a suo modo e per due volte Virginia, fa a pezzi St John’s vendicandosi della sconfitta dell’anno precedente e poi rimonta 23 punti a Louisville. Ecco, contro i Cardinals Williamson fa vedere che tipo di forza bruta esercita quando gioca. La forma del pallone nella foto qui sotto è indicativa.

Poi arriva il rivalry game contro North Carolina.

 

La scarpa Nike che indossa Zion Williamson esplode sotto il suo peso e il ginocchio ne risente. Il responso medico è: riposo. Le azioni della Nike crollano, facendo perdere 1.1 miliardi alla società dell’Oregon per questo incidente, e anche Duke crolla: due sconfitte nelle cinque partite in cui Williamson sta fuori, una vittoria risicata di un punto contro una versione scarsa di Wake Forest e un’altra sconfitta contro North Carolina.

I ragazzi di coach K scendono al terzo posto dell’ACC e iniziano a preoccuparsi del loro futuro visto che RJ Barrett da solo non riesce a sopperire all’assenza di Zion e Cameron Reddish rimane impantanato in un attacco fermo alle invenzioni uno-contro-uno dei suoi talenti. Nel frattempo, Williamson fa incetta di premi individuali: MVP della conference, freshman dell’anno e primo quintetto della Ncaa. I 22 punti di media con il 70% dal campo portano il ragazzo a essere, già a fine febbraio, l’indiscussa scelta numero 1 al prossimo draft.

La Post-Season

Williamson si ripresenta in campo in tempo per il torneo della ACC, che domina. La sua personale Cappella Sistina (finora) è la prestazione che frutta la vittoria contro North Carolina in semifinale, in una delle più belle partite dell’anno. I Tar Heels avevano vinto entrambi gli incontri di regular season (non accadeva da anni), ma Zion era assente in entrambe le partite. E chi poteva segnare i due punti della vittoria per Duke? Indovinate.

 

Il Selection Committee assegna a Duke la testa di serie numero 1 assoluta al Torneo Ncaa e regala anche un Regional poco preoccupante. Ma ormai tutti hanno capito che le fortune della squadra sono legate a Williamson e gli avversari preparano le difese quasi unicamente su di lui. L’assenza del principale talento ha mostrato che il lavoro di Coach K e staff si è basato principalmente sulla gestione dello spogliatoio e, quasi, per niente sul lavoro tattico. Il gigante da Spartanburg era colui che alzava l’asticella in difesa e che in attacco trascinava i compagni, senza di lui la squadra è sembrata spesso allo sbaraglio e questo probabilmente ha anche pesato sulla testa dei giocatori.

 

North Dakota State è la povera #16 a sfidare l’ira di Duke, regge un tempo e poi viene sommersa dai Blue Devils, ma le sfide contro UCF e Virginia Tech si rivelano due battaglie inaspettate, in cui i ragazzi di coach K la sfangano per il rotto della cuffia. La sfida contro Tacko Fall costringe Zion a non schiacciare per tutta la partita, prima e unica volta in stagione, ma il n.1 decide lo stesso la gara con una super giocata di intelligenza, decidendo di penetrare, con il punteggio sotto di tre, sicuro di prendersi un fallo e vincere la partita.

 

Contro Virginia Tech l’andazzo è simile. Coach K lo tiene in campo 40 minuti, la squadra sparacchia da tre punti, 6/20 alla fine, Barrett non è molto di aiuto e ci pensa Zion a risolvere le cose, aiutato di nuovo dal ferro. Michigan State invece si rivela una squadra troppo quadrata per sfangarla per la terza volta e Tom Izzo è un coach troppo scafato per non trovare il modo di battere una squadra così piena di lacune. Ritmi bassi e compostezza fanno approdare gli Spartans alle Final Four, mentre non basta l’ennesima prestazione folle di Williamson, 24+14+2+3+3 per nascondere i problemi di squadra.

 

Alla Final Four peserà l’assenza di Williamson, ma restano le cifre folli, le giocate, le vittorie e il personaggioUna stagione da freshman quasi storica che lo proietterà probabilmente nel gotha del college basketball, e che sembra solo il primo passo di una carriera incredibile. Alla fine lui è stato tutto: un giocatore che ha segnato con l’80% al ferro, uno stoppatore incredibile, un fisico proveniente da un’altra galassia, la prossima chiamata numero uno al Draft Nba. Semplicemente Zion Williamson.

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