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Deni Avdija, in Israele c’è un diamante da NBA

Deni Avdija
Autore: Stefano Fontana
Data: 7 Mar, 2020

È uno dei nomi più caldi in vista del prossimo Draft NBA. Deni Avdija, fin dall’inizio della stagione, non è mai sceso sotto la posizione numero 6 del nostro super mock draft e anzi, è pian piano salito fino alla 4. Giocatore moderno, il talento del Maccabi Tel Aviv è il prototipo della cosiddetta point-forward. Sostanzialmente si tratta di un’ala piccola dal fisico notevole (2.05 metri per circa 100 chili), così versatile da poter giocare anche da 2 o da 4.

L’europeo under-20

Il salto di livello nella carriera di Avdija è arrivato nell’estate 2019, quando il giocatore ha guidato Israele al secondo titolo consecutivo agli Europei Under-20. Davanti al pubblico di casa, il talento classe 2001 ha demolito Francia e Spagna, rispettivamente in semifinale ed in finale, a suon di doppie doppie. Il mix tra una competizione così importante e il fatto di essere stato un leader (18.4 punti, 8.3 rimbalzi e 5.3 assist di media) ha generato un duplice effetto nella vita di Deni e nel suo rapporto col mondo del basket professionistico.

In primis, ha cementato il suo legame già forte col suo paese. Figlio d’arte (il padre Zufer ha avuto una discreta carriera con la Stella Rossa, oltre a vincere un bronzo mondiale nel 1982 con la Jugoslavia), Avdija è probabilmente il simbolo che il movimento cestistico israeliano cercava da anni. Nato a Tel Aviv da famiglia serba, il ragazzo d’oro dello stato ebraico ha sempre vissuto nella capitale, assorbendone quindi i costumi e l’educazione. Non parla neanche il serbo, tradendo quel preconcetto che vuole i figli degli emigrati slavi molto legati alla terra dei loro antenati. Ovviamente, la sua storia sportiva, sin dalle giovanili, coincide con quella del Maccabi.

Sotto gli occhi dell’NBA

Quell’Europeo, però, ha anche permesso ad Avdija di mettere il suo nome sulla mappa della pallacanestro mondiale. Gli scout NBA hanno aperto i taccuini (è proprio dei giorni scorsi la notizia che Koby Altman, dei Cavaliers, sia volato in Israele assieme al suo staff per osservarlo da vicino) e il suo nome ha iniziato a girare con consistenza sempre crescente nei vari Mock Draft per il 2020. Nonostante in Eurolega continui ad usarlo come rincalzo – meno di 14 minuti di media – coach Ioannis Sfairopulos gli sta dando più spazio in campionato, dove il suo minutaggio è quasi raddoppiato. E gli effetti si vedono: in 19 gare disputate, a 18 anni, Deni ha messo assieme 12.2 punti, 6.1 rimbalzi e 2.3 assist.

Le caratteristiche

Vedendolo in campo ci si accorge subito di essere davanti ad un giocatore intrigante: una delle sue principali qualità è la capacità di leggere il gioco, sia con la palla in mano che senza. Da portatore, gestisce perfettamente i ritmi dell’azione: sempre a testa alta, il suo atteggiamento estremamente deciso in attacco gli permette di compensare l’esplosività non eccellente.

Questo, unito all’ottima visione e al tempismo quasi sempre corretto dei suoi passaggi, lo rende una minaccia reale in campo aperto, soprattutto considerata la stazza. Frenarlo è davvero difficile, e raramente sbaglia scelta contro una difesa in transizione, punendo gli avversari al primo passo falso. I suoi: riesce a muoversi in continuazione per trovare lo spazio giusto, che spesso e volentieri si apre lungo la linea di fondo.

Considerato il suo possibile sviluppo futuro, le sue azioni di pick ‘n’ roll potrebbero rivelarsi dei veri rebus per le difese: può giocarli da bloccante o da portatore di palla, sfruttando in entrambi casi l’eventuale mismatch con gli avversari. Le lunghe leve gli sono utili anche in post basso, dove ama giocare appoggiandosi al difensore per prendere il contatto, oppure anticiparlo con un movimento fulmineo prima ancora che questo riesca a prendere posizione. Anche nella metà campo difensiva, le premesse sono buone: è in grado di tenere gli esterni avversari, spesso compensando con gli istinti una mobilità laterale non fenomenale.

I punti deboli

I punti deboli, come è ovvio che sia, non mancano. Il più evidente è la grande difficoltà che nel gestire il gioco con la mano debole: quasi sempre le sue penetrazioni si chiudono verso destra, e questo spesso lo fa incappare in trappole appositamente preparate dalla difesa avversaria. In un contesto come quello NBA sarebbe una carenza troppo importante, ma allo stesso tempo non difficile da colmare, data anche la sua propensione al lavoro.

L’altra  falla nel suo gioco è il tiro dall’arco: in una pallacanestro che va sempre più verso gli isolamenti e il gioco perimetrale, la sua scarsa propensione di trovare il tiro dal palleggio (il 92% delle sue conclusioni arrivano su assist di un compagno) rischia di pesare molto. Inoltre, il suo jumper continua a essere poco continuo.

Insomma, Avdija è un diamante che già brilla ma che potrebbe splendere anche di più, e non a caso tutti i Mock Draft lo vedono in Top 10: per ottenere il meglio, lo staff tecnico della squadra che lo sceglierà dovrà limare i difetti del suo gioco e fargli mettere massa muscolare, senza condizionarne però la mobilità.

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