Una buona ricetta per costruire una mid-major di successo sta nel rivolgersi al recruiting internazionale. Davidson lo fa da una vita. Gonzaga ha aperto ed esplorato strade come nessun’altra. Saint Mary’s deve tantissimo ai suoi australiani. Loyola – quella di Baltimora, Maryland – ha imparato la lezione e avviato un nuovo corso che parla spagnolo e che potrebbe portarla a scalare posizioni nella Patriot League.
Ivo Simović, uno degli assistenti di Tavaras Hardy, ha compiuto un colpaccio riconosciuto da tutti nel convincere Santi Aldama a unirsi ai Greyhounds. Dominatore (e vincitore) degli ultimi Europei U18, l’ex Canterbury Lions non è in campo adesso, reduce da un’operazione al ginocchio i cui tempi di recupero sono ancora incerti. Ragazzo dai modi delicati e che regala facilmente gran sorrisi, Aldama non sconfessa il suo entusiasmo di 18enne e infatti, dentro di sé, smania di tornare in campo. A Loyola però la cautela è massima e sanno che la priorità va riposta nel suo pieno recupero. Non resta allora che aspettare per vedere se potrà farcela per questa stagione o se dovrà aspettare la prossima per esordire in NCAA.
Aldama però non è l’unico iberico d’impatto che rischia di rivelarsi una “steal” in quella conference. Golden Dike ha bagnato la sua prima da starter (nonché esordio davanti al suo nuovo pubblico) con una prova estremamente solida: 18 punti, 8 rimbalzi, 3 assist, 2 recuperi in 41 minuti nella vittoria all’overtime su Fairfield (84-75).
208 centimetri d’altezza per 113 di peso: di corpaccioni così grossi e così atletici, non se ne vedono tanti in conference di quel livello, men che meno fra i freshmen. L’ex Real Madrid è già pronto per essere una presenza d’area difficile da gestire sia nella metà campo offensiva che in quella difensiva. La cosa che deve però far più paura, è che può solo migliorare. E anche di parecchio.
Nel passaggio Europa-America, Golden ha riscontrato da subito le differenze di stile tipiche di chi viene dal Vecchio Continente: «Qui il gioco è più veloce e più fisico. C’è più atletismo e meno QI». Per uno come lui va benissimo, perché sul piano fisico sa essere dominante mentre nel secondo ha qualche asso nella manica da giocare.
Dike non è solo un atletone e la partita con Fairfield ha lasciato intravedere chiaramente un gran bel potenziale come passatore, cioè come lungo capace non solo di riaprire i giochi dall’interno verso l’esterno ma anche d’innescare i compagni con linee di passaggio tutto sommato non scontate per uno del suo ruolo (nell’ultima gara, quella con George Mason, gli assist sono stati ben 5). Un qualcosa che probabilmente non si era visto abbastanza, che era passato un poco inosservato: «In Spagna forse non ho mostrato tutto il mio potenziale e il mio QI, ma comunque aiutavo la squadra in difesa», dice l’interessato.
Parlando invece di difetti, il tiro è un qualcosa su cui deve continuare a lavorare tantissimo: «Lavoro molto sulle mie finalizzazioni a canestro, ma anche sul mid range e long range. In questo basket, se sei libero devi segnare e se segni puoi giocare ad alto livello». Le debolezze emergono soprattutto a cronometro fermo: non è un caso infatti se, il giorno dopo la partita con Fairfield, lui faceva un allenamento separato dai suoi compagni, tirando liberi su liberi sotto la supervisione di Simović.
Contro gli Stags, a un certo punto, un tifoso ospite invocava a squarciagola un hack-a-Dike nel finale. E non aveva tutti i torti. In quella partita, Dike ha fatto 6/11 ai liberi. In quella successiva, con GMU, addirittura 2/13. «La mia meccanica è abbastanza buona ma, come dice coach Ivo, quando porto la mano in alto devo cercare di tenerla sempre nella stessa posizione. Una volta che avrò sistemato questa cosa, probabilmente avrò un buon tiro».
Fuori dal campo, Dike è espansivo coi compagni, mentre a tu per tu con gli adulti è più serioso (e anche un po’ timido). Non con Simović però, col quale c’è infatti un rapporto schietto. Merito proprio del carattere del coach serbo, un tipo che sa essere autorevole pur rifiutando per principio certe formalità tipiche nelle gerarchie fra coach e giocatori. Lui si fa chiamare Ivo dai ragazzi, e tanto gli basta. Fra Simović, Dike e Aldama è facile notare dall’esterno delle “buone vibrazioni” provenienti dalla maniera in cui interagiscono fra di loro, nel modo in cui si parlano, scherzano o semplicemente fanno un cenno.
L’inserimento dei due spagnoli a Loyola – in senso non soltanto sportivo – sta procedendo in maniera liscia. Dike dice essere rimasto sorpreso da «come sono gentili con me e con Santi, come ci rendono le cose più facili, perché sanno che siamo stranieri, che questa non è la nostra cultura, non è la nostra lingua. Tutti i nostri compagni di università sono così entusiasti di noi, vogliono vederci giocare».
L’ambiente di certo aiuta. Loyola è un’università piccola (circa 6mila studenti) ma ricca, con un gran bel campus, una bomboniera serena ed elegante immersa nel verde. Alle partite gli spalti non si riempiono troppo – almeno per ora – però si respira una sana aria mid-major, un’atmosfera tipicamente americana che sa di famiglia allargata e che, grazie agli studenti, si scalda quando la gara si fa seria.
Lo spagnolo viene da una grande cantera ma ha voluto l’esperienza al college con forza, mostrando l’ostinazione giusta per raggiungere l’obiettivo e che gli ha permesso di accedere con un buon voto nel SAT: «A nessuno piace studiare. Vuoi imparare delle cose ma non metterti lì seduto davanti ai libri. Però devo farlo per essere sicuro di avere un futuro dopo il basket o anche se dovesse capitarmi un infortunio».
Golden Dike è atteso a compiere passi in avanti decisi in campo in termini di maturità. Fuori dal parquet, però, questa crescita sta già facendo capolino.