Siamo arrivati al giro di boa della stagione e quella di Duke, a meno di grandi ribaltoni, non rispetterà le aspettative di inizio anno. Dopo aver perso le uniche due partite interessanti di non-conference contro Illinois e Michigan State, Duke ha deciso di evitare le restanti partite per “assicurarsi di fare la cosa giusta per i nostri giocatori e la loro salute”, testuali parole di Mike Krzyzewski. Non che in ACC sia andata tanto meglio: due sole vittorie nelle prime cinque partite hanno evidenziato i grossi limiti du questa squadra, se si considera il basso livello medio della conference in questa stagione.
In questo panorama difficile sia fuori dal campo – a causa della pandemia – che all’interno – tra rotazioni particolari e talenti inespressi – almeno c’è Matthew Hurt che prova a dare la scintilla. L’ex Minnesota Mr. Basketball è in lizza per l’ACC Player of the Year (anche se deve fare i conti con un Justin Champagnie fin qui devastante) benché in pochi si sarebbero aspettati da lui questo impatto dopo un primo anno di luci e ombre.
Soprattutto durante l’assenza per infortunio di Jalen Johnson, miglior prospetto in entrata per Duke, Hurt si è trasformato nel go-to guy della squadra, tirando spesso fuori dai guai i compagni in attacco. Segna 19.2 punti di media grazie anche a quella che è la sua arma principale, il tiro da tre punti. Solido come pochi con il 45.8% da dietro l’arco, è l’unico nella top ten per percentuale a tentare più di 5 triple a partita nella ACC. E anche un po’ per questo che il suo 62% dalla lunetta resta un mistero irrisolto.
È abbastanza versatile, nel senso che può giocare senza problemi sia internamente (dove prende 8.2 rimbalzi a partita) che sul perimetro. In area evita le situazioni di post basso e quindi preferisce creare separazione piuttosto che affrontare la lotta fisica con il difensore. Le sue lacune atletiche nella parte alta del corpo spesso gli impediscono di essere decisivo al ferro quando deve assorbire i contatti e, allenando questo aspetto, potrebbe ottenere i migliori margini di miglioramento. Anche l’assenza di un primo passo esplosivo non lo aiuta ad arrivare al ferro.
Matthew Hurt è pericoloso anche quando non ha la palla in mano. Se lui è in campo, le difese spesso gli riservano tante attenzioni, fornendo diverse opportunità ai suoi compagni. Questi vantaggi creati sono evidenti anche a Coach K che lo ha esaltato dopo la vittoria contro Wake Forest: “Penso che giochi ad un buon ritmo. Le difese gli crollano addosso per fermarlo e, quando tocca palla, i nostri hanno più spazio”.
Una delle qualità su cui può ancora migliorare molto però è proprio sfruttare questo vantaggio che crea naturalmente grazie alla capacità di segnare. Nonostante sia in grado di servire i compagni in movimento e sappia trovarli sui tagli o negli schemi (come si può vedere nella seguente clip), non ha delle letture naturali e il suo lato da “playmaker” non è sul livello del resto del suo gioco offensivo.
Le analisi più interessanti sono però relative alla fase difensiva. Quando è in campo, Duke concede il 34.5% dei canestri da tre punti e il 62.2% al ferro mentre, senza di lui, gli avversari segnano col 47.4% da oltre l’arco e il 50% al ferro. I dati ci dicono insomma che Hurt ha trovato la propria dimensione nella difesa sul perimetro ed è in grado d’inserirsi bene nel sistema per evitare conclusioni da tre punti. Al contrario, è spesso evidente quanto non riesca ad essere allo stesso modo un fattore al ferro, dove a incidere in negativo è la già accennata mancanza di massa muscolare.
Se l’anno scorso ha scelto di tornare a Duke per migliorare, sembra esserci riuscito. In estate potrebbe ritentare la trafila pre-Draft, anche se l’abbondanza di ali (anche più giovani di lui) pronte al salto nella Nba non gioca di certo in suo favore. Il resto della stagione ci aiuterà a capire meglio quali possano essere le sue reali possibilità: secondo giro o ritorno a Durham per un terzo anno.