Johni Broome in formato superstar brilla in una Auburn che ora più che mai appartiene all’Olimpo del college basketball. E a proposito di Dei, a tenere banco c’è anche la triplice caduta di UConn al Maui con annesse crisi isteriche di Dan Hurley. Ecco le pagelle della Week 4.
Johni Broome (Auburn). Il giocatore più forte della squadra (al momento) più forte. Il super senior non è super solo per l’eleggibilità, ma soprattutto per quanto fatto al Maui: 21.6 punti con 15.0 rimbalzi, 4.3 assist e 3.0 stoppate di media in tre giorni dove Auburm ha affrontato il top del college basketball. Più efficace in questa nuova versione offensiva da ala grande, dove tira da tre e attacca il canestro con più spazio, il solito mostro difensivo capace di annullare chi passa nel suo radar. Dominante.
Oregon. Per trovare un altro anno con una partenza 8-0 bisogna tornare indietro all’inverno 2013, ma allora le vittorie di Oregon erano arrivate quasi tutte in casa e poche contro avversarie di livello. Il filotto Oregon State (in trasferta), e poi in campo neutro Texas A&M, San Diego State e Alabama proietta i Ducks ai piani altissimi del college. Profondi, completi, senza veri punti deboli e con un TJ Bamba che finalmente ha trovato un team nel quale esprimersi. L’ennesimo capolavoro di coach Dana Altman.
Dylan Harper (Rutgers). È lui il freshmen più forte e più pronto del college basketball. Neanche le sconfitte di Rutgers lo tengono sotto il radar. Solidissimo, forte fisicamente, efficiente nella selezione di tiro, un po’ meno da tre punti (4/15, unico suo tallone d’Achille). 36+6+6 contro Notre Dame, 37 punti contro Alabama in una penetrazione continua nell’area avversaria. Le fatiche, alle quali si sono accumulati anche due overtime, l’hanno portato a sbarellare contro Texas A&M, ma che giocatore Harper!
Arizona State. Già ad inizio stagione ci avevano sorpreso portando Gonzaga a sudarsela fino in fondo ma arrivati a dicembre i Sun Devils hanno almeno quattro vittorie di tutto rispetto, due agguantate al fotofinish in questa settimana contro New Mexico e Saint Mary’s. Una squadra piena di giocatori con punti nelle mani, con almeno tre guardie capaci di creare dal palleggio, due freshmen 5 stelle come il tiratore extra lusso Joson Sanon e il centrone Jayden Quaintance più lo stretch 4 Basheer Jihad che ha messo a ferro e fuoco la difesa dei Lobos. C’è almeno uno a casa Hurley che sorride in questo inizio di stagione.
Jeremiah Fears (Oklahoma). I telecronisti al Battle 4 Atlantis dopo un paio di partite l’hanno soprannominato “No Fears”. Il freshman dei Sooners è già il leader dichiarato della squadra (nella quale può fare e disfare a piacimento in campo). Faccia da bambino ma tostissima, di lui colpiscono non tanto (o non solo) i punti e la precisione al tiro, ma la sensazione di maturità e controllo che esprime in campo. C’è la sua firma sul torneo da protagonista di Oklahoma (battute Providence, Arizona e Louisville). E grazie a Fears la SEC ha un’altra squadra che punta ai piani alti.
Javon Small (West Virginia). Il Deus ex Machina dell’attacco dei Mountaineers. Gestisce ancora più palloni e prende ancora più tiri di quando era ad Oklahoma State. E finora sta avendo ragione lui. La guardia dell’Indiana ha messo a segno 31 punti fondamentali nella vittoria contro Gonzaga, 26 punti con 7 rimbalzi e 7 assist contro Louisville ed è riuscito a essere determinante anche contro Arizona (14 punti con 9/10 dalla lunetta e 8 assist), nonostante la stanchezza alla terza partita al supplementare in tre giorni. West Virginia dopo una stagione in purgatorio sembra essere tornata tra le grandi.
Chucky Hepburn (Louisville). Il volto e il leader di Louisville, che è stata una delle sorprese del Battle 4 Atlantis grazie alla vittoria a valanga contro Indiana e poi contro West Virginia. Coach Pat Kelsey gli ha affidato completa libertà e finora lui sta ripagando con la migliore stagione della sua carriera. Diabolico in difesa (16 recuperi nelle ultime 3 partite), chirurgico nella scelta delle triple ed efficacissimo nel guadagnare liberi nei momenti decisivi. È quinto in tutto il college per plus/minus. Peccato per l’infortunio a Pryor (anche lui fondamentale per i Cardinals) che assieme alle assenze di Aboubacar Traore e Koren Johnson peserà sul record della squadra.
Leonardo Bettiol (Abilene Christian). Leading scorer dei suoi nelle ultime tre gare e 18 punti di media nelle ultime quattro: il junior sembra proseguire il suo percorso di lento ma graduale miglioramento e ora più che mai appare difficile da arginare in area, mixando buon posizionamento e movenze rapide sia spalle che fronte a canestro. Finalmente ha anche licenza di prendere qualche jumper, cosa che faceva in Italia ma praticamente mai vista nei primi due anni ad ACU. Non troppo impattante a rimbalzo, ma le sue qualità realizzative da sole potrebbero garantirgli lo status di all-conference player nella WAC.
Baba Miller (Florida Atlantic). Si era un po’ perso dopo un inizio discreto, ma nella sua ultima gara (persa al buzzer con FGCU) è finalmente sembrato il prospetto Nba che in tanti aspettano da un paio d’anni: letale dalla distanza e match-up nightmare in attacco dall’alto dei suoi 211 cm d’altezza, ha piazzato un career-high da 25 punti quasi senza errori impreziosendo la sua prestazione con tanti buoni passaggi in post e lampi difensivi di livello. Può e deve essere l’arma su cui puntare per risollevare FAU, ora reduce da tre sconfitte consecutive.
Dayton. Le sconfitte (onorevoli) con North Carolina e Iowa State dovevano essere l’apice della loro avventura con poche pretese al Maui: e invece eccoli lì a chiudere il viaggio mettendo ko UConn (già barcollante, ma è pur sempre UConn). Bravi a fare la partita e a rispondere senza affanni ai tentativi di zona avversari nella ripresa, i Flyers dimostrano di avere pedine di qualità in tutti i reparti e hanno di che festeggiare al momento, ma ci sono ancora due test da passare a metà dicembre (Marquette e Cincinnati) per essere considerati in tutto e per tutto alla pari col meglio delle P5.
Mark Sears (Alabama). I Crimson Tide hanno opzioni ma è chiaro che, alla lunga, gli alti e bassi della sua stella possono finire per costare caro. Molto bene sia con Houston che con Rutgers (24 punti in entrambe le uscite), la guardia ha però chiuso il Players Era Festival con un atroce 1/11 dalla lunga distanza (11 punti in totale) nell’upset subito da Oregon. Dal 43.6% da tre dello scorso anno al 28.8% di questo primo scorcio di stagione. Irriconoscibile.
Houston. Incipit non quotato ma: “Houston abbiamo un problema”. Frase scontata ma analisi reale. La sconfitta contro San Diego State, dopo quelle con Alabama e Auburn, dice che al momento i Cougars non riescono a imporsi ed essere lucidi nei finali concitati. Il bicchiere mezzo pieno è che sono state tutte partite perse negli ultimi possessi (contro gli Aztecs in OT), ma quello mezzo vuoto è che il reparto dei lunghi, storico punto di forza della squadra, non tocca palla. Letteralmente. J’Wan Roberts, Ja’Vier Francis o Joseph Tugler prendono pochi tiri e in generale gestiscono pochi palloni. Il risultato è che un team che da anni viaggiava stabilmente attorno (se non sopra) al 50% da due punti è sceso al 45%.
Indiana. Neanche è passato un mese dall’inizio di stagione e siamo già nei pressi dello psicodramma a Bloomington. Il Battle 4 Atlantis espone tutti i drammi difensivi di una squadra che è apparsa pesante e poco coordinata mentre in attacco imprecisa e senza troppa verve dal palleggio, necessaria per far coesistere i tre bestioni sotto canestro. Louisville e Gonzaga hanno sfruttato questi deficit al massimo rimediando due belle quality win, ma coach Mike Woodson deve sistemare qualcosa.
USC. Nella sconfitta contro Saint Mary’s i Trojans hanno segnato 36 punti contro i 71 degli avversari. Nel secondo tempo solo 15. Per trovare un punteggio simile bisogna tornare al novembre 2011 (ma in quel caso la vincente Cal Poly ne aveva segnati solo 42), quando la squadra era allenata da Kevin O’Neill, esonerato l’anno dopo. Un punteggio del genere fa specie anche di più visto che il nuovo allenatore di USC è Eric Musselmann, noto per il suo gioco votato alla fase offensiva più che a quella difensiva. Diciamo che è abbastanza chiaro che quella corrente sarà una stagione transitoria. Per fortuna la squadra è passata in Big Ten, che è una conference abbordabile (aiuto).
Andre Curbelo (Southern Miss). Lui e Caleb Love sono i soliti che trovano sempre il modo di farci strappare i capelli e piazzarsi nella parte bassa delle nostre pagelle. Le prestazioni in campo – tra l’altro parecchio scadenti nelle ultime due uscite – stavolta non c’entrano: il play ha rimediato una sospensione a tempo indeterminato per motivi disciplinari e viene da chiedersi se lo rivedremo mai in azione. Da freshman sensation a paria, i cinque anni di college del portoricano rappresentano una delle parabole più deprimenti mai viste.
Miami. Passi la sconfitta contro una Drake nuova e piena di transfer di D2. Passino quelle contro Oklahoma State e VCU, squadre di parli livello, ma i Canes non possono affondare anche con Charleston Southern (#317 su KenPom alla vigilia). La stagione di Miami non partiva sotto i migliori degli auspici, ma una difesa tragica e la mancata esplosione di un 5 stelle come Jalil Bethea stanno mettendo in crisi una squadra che deve ancora trovarsi. Dopo la storica Final Four di due anni fa, il povero Jim Larrañaga non sembra azzeccarne più una: ha 75 anni e questa in corso sta già assumendo le sembianze di una stagione che dovrebbe spingerlo al ritiro.
Dan Hurley e UConn. Il coach ha fatto parlare tanto di sé dopo due titoli nazionali ma è riuscito a diventare virale solo con un Maui Invitational da incubo. Il tracollo degli Huskies con Memphis, Colorado e Dayton in un crescendo di pochezza cestistica passa persino in secondo piano alle spalle di un allenatore più che mai isterico a bordo campo – tanto da ispirare lunghi highlight reel delle sue sceneggiate con gli arbitri – e puerile in sala stampa, capace di rivendicare il diritto a fischi favorevoli come se fosse il Marchese del Grillo e a sostenere che non giocherà mai più tornei con tre partite in tre giorni. Nulla di nuovo sotto il sole: Dan Hurley è sempre stato questo, anche quando vinceva, ossia insopportabilmente irrispettoso e sempre pronto alla rissa (a parole). L’unica differenza è che la sua pochezza caratteriale diventa ancora più evidente quando perde e più difficile da difendere per certi addetti ai lavori che, fino a ieri, gli hanno portato l’acqua con le orecchie.
A recap of Dan Hurley’s relaxing Hawaiian Thanksgiving in Maui pic.twitter.com/0Ceuswv2aR
— NCAA Buzzer Beaters & Game Winners (@NCAABuzzerBters) November 28, 2024