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Suggs e Garza illuminano la stagione

Luka Garza e Jalen Suggs
Autore: Redazione BasketballNcaa
Data: 20 Dic, 2020

Lo scontro in Top 3 fra Gonzaga e Iowa, risoltosi con un 99-88 per i primi, non ha deluso le aspettative, anche perché le due stelle più attese – Jalen Suggs e Luka Garza – hanno brillato come più non avrebbero potuto.

Da loro iniziano le nostre pagelle, passando poi per matricole in ascesa (Greg Brown), losing effort notevoli (James Bouknight) e il momentaccio che attanaglia le acerrime rivali Louisville e Kentucky.

 

Jalen Suggs (Gonzaga). I più svegli hanno già aggiornato i mock draft e l’hanno piazzato alla prima o seconda scelta assoluta. Poi per carità, le variabili che portano un giocatore a essere amato dagli scout Nba a volte non riguardano solo quello che si vede in campo. Ma ecco, se invece considerassimo “soltanto” le partite di college, avremmo al momento una prima scelta assoluta blindata. Suggs ha tutto: classe, creatività, ball handling, carisma, tiro, difesa, atletismo. Risaltare in quel modo in un meccanismo perfetto come quello degli Zags, con così tanti interpreti di livello, non è da tutti, men che meno per una matricola.

Luka Garza (Iowa). All’inizio quando in campo faceva giocate da fuoriclasse abbiamo detto “vabbè ma gli avversari non sono di livello”. Le statistiche da capogiro? Ogni tanto capita la giornata buona al tiro. Poi sono arrivate le partite contro North Carolina, che ha la migliore batteria di lunghi della nazione, contro Iowa State e soprattutto contro Gonzaga. Hanno vinto i Bulldogs, ma se c’è un giocatore che ha brillato insieme a Suggs è stato proprio Garza: 30 punti (13/16 da due), 10 rimbalzi, 2 assist e 3 stoppate. Ed era l’osservato specialissimo della squadra più forte della Ncaa. Chapeau.

 

Trevion Williams (Purdue). Non prende un 10 solo perché con Notre Dame ha fatto una partita da comune mortale (ma di quelli bravi, comunque). La sua prestazione nell’upset su Ohio State ha però del leggendario: 16 punti, 9 rimbalzi, 8 assist in 27 minuti, coronando il tutto con giocate da far brillare gli occhi. Più completo di Kofi Cockburn e più difficile da spostare di Trayce Jackson-Davis: che sia lui il miglior lungo della Big Ten dopo Luka Garza?

UCF. Splendida vittoria contro Florida State, #15 del ranking fino a lì ancora imbattuta, per di più sul suo campo dove non perdeva da due anni. E dopo due settimane senza giocare. Indemoniato il secondo tempo di Brandon Manhan con 26 dei suoi 32 punti realizzati nella ripresa, ottima la partita del freshman Isaiah Adams ed ecco servito l’upset che proprio nessuno si aspettava.

Nah’Shon Hyland (VCU). Non soddisfatto dei 30 piazzati nella settimana precedente, ha aggiornato il suo career-high con 31 punti (in 28 minuti) sul groppone di Western Carolina. La SG dei Rams si sta confermando un tiratore micidiale (40.6% da tre su 8.6 tentativi, oltretutto con frequenti conclusioni dal palleggio) e ha anche un ball handling e dei numeri da slasher notevolissimi. Ed è solo un sophomore. Prendete nota: Bones farà parlare di sé sempre di più.

 

Gli schemi dalla rimessa di Kansas. Bisogna guardarla e riguardarla prima di capire come abbia fatto Ochai Agbaji a ritrovarsi tutto solo per il più comodo dei canestri. Ed è meglio prendere nota perché la rimessa che ha dato la vittoria ai Jayhawks sul campo di Texas Tech è uno degli schemi meglio disegnati (e anche eseguiti) che si siano visti quest’anno sui campi della Ncaa, oltre a essere un asso nella manica ricorrente per Bill Self.

Stanford. Non batteva Arizona dal 2009, quindi la vittoria contro i Wildcats ha un sapore particolare ed è un gran bel modo per iniziare la Pac-12. Che è una conference in cerca di un padrone: dopo 15 anni, potrebbe essere la volta buona per loro, specie se Oscar da Silva continuasse a giocare così (20.3 punti di media con un imbarazzante 66.7% dal campo).

Greg Brown (Texas). È lui l’uomo-partita dei Longhorns (24 punti, 14 rimbalzi, 3 stoppate) in una vittoria sofferta contro Oklahoma State e contro un Cade Cunningham (25 punti) che proprio non ne voleva sapere di mollare l’osso. Il freshman di Austin è finalmente pericoloso dall’arco (38.1% nelle ultime tre gare dopo l’11.8% delle prime cinque) e il suo atletismo fa spesso la differenza. Certo, anche in una giornata strapositiva come questa fa alcune robe da pollastro, ma il potenziale c’è e sta crescendo con una certa costanza.

 

Ron Harper Jr. (Rutgers). Solido. Un macigno. Una costante. Agli Scarlet Knights servivano vittorie convincenti per segnalarsi come squadra da tenere d’occhio nella Big Ten. Il filotto Syracuse-Maryland-Illinois li ha messi sulla mappa del college e in tutte le gare c’è stato lo zampino, anzi zampone, di Harper. Fenomenale in tutti gli aspetti del gioco, ha tirato con 10/16 da tre punti nelle due partite di conference e con 5/8 dall’arco in quella precedente contro gli Orange. Se le percentuali al tiro rimangono queste… si salvi chi può.

Micah Potter (Wisconsin). 20 punti in 20 minuti nella cicloturistica contro la decimata Louisville, ecco un altro dei lunghi della Big Ten da tenere d’occhio. Dopo due anni anonimi a Ohio State e uno da panchinaro (di lusso) con i Badgers, quest’anno è uno dei punti fermi della squadra di Greg Gard. Solido, esperto e anche con la mano dolce, come dimostrano il 9 su 18 da tre punti e l’82.8% ai liberi registrati in stagione.

 

Duke. La reazione giusta al momento giusto. Due sconfitte pesanti, un infortunio se possibile ancora più pesante (Jalen Johnson) e le pernacchie d’obbligo a Coach K per la sua ritirata stile Caporetto (passato di colpo da, parafrasando, “il covid ci ha fatto allenare bene” a “il covid è un ostacolo insormontabile per il college basket”). I Blue Devils si sono scrollati di dosso tutto ciò andando a vincere in casa di Notre Dame, tirando da tre come fatto solo contro Bellarmine prima in stagione. Bene? Sì, ma calma, che la notte è ancora lunga.

Marquette. Ogni anno la domanda è la stessa: quanto possiamo fidarci di Coach Wojo? In genere la risposta è: poco. Perché i Golden Eagles sono sempre quei pazzi capaci di giornate offensive da sogno ma anche d’improvvisi crolli verticali. Servirebbe loro una difesa credibile e quest’anno sembrano poterla mettere in piedi. Le prime tre gare della Big East hanno però mandato segnali opposti in tal senso (120.7 di Defensive Rating) e il loro ruolino di marcia settimanale dice: bella vittoria con Creighton, sberla da Seton Hall e doccia fredda da Xavier (con Adam Kunkel ad aprire il getto). Sufficienza scarsa, ha ancora tanto da dimostrare.

 

Mac McClung (Texas Tech). Finisce il big match contro Kansas come miglior marcatore dei Raiders ma, anche quando segna sempre all’inizio della gara, ferma l’attacco con cinquanta palleggi inutili sul posto. Inguardabile a tutti livelli, figuriamoci nel college basket che è una pallacanestro di squadra per antonomasia. Nella ripresa scompare tra mille forzature (solo due liberi nei 15′ finali) e TT rischia di vincerla giocando meglio anche senza i suoi punti.

UConn. Tutto sembrava apparecchiato per un ritorno trionfale nella Big East, con un James Bouknight da sogno contro Creighton (40 punti, salute!), poi però ha buttato via la partita e si è fatta beffare al supplementare. Inutile prendersela con R.J. Cole e i suoi errori ai liberi: è tutto ciò che stava intorno a Bouknight a essere stato di una pochezza offensiva disarmante. Tolto lui, gli Huskies hanno infatti segnato 34 punti con 11 su 43 dal campo (25.6%). Così non puoi sopravvivere in una conference come quella.

 

Arizona State. Per una volta, uno dei nostri banner combacia preciso preciso col soggetto sottostante. Da un paio di settimane, la faccia di Bobby Hurley sta fissa sullo sbigottito. E la colpa non è degli sceneggiatori di Boris. I suoi si sono fatti portare a scuola da UTEP (mid onesta ma nulla più) e già venivano da una vittoria strappata all’ultimo (giocando male) con la GCU di Alessandro Lever e una sconfitta netta con San Diego State. Josh Christopher è l’unica nota lieta contro i Miners (24 punti, 6 rimbalzi, 4 recuperi, 2 stoppate) ma non basta.

Austin Peay. In teoria sarebbe una contender nella Ohio Valley ma finora è sembrata solo una squadretta qualsiasi. Il cartello “lavori in corso” sta bello in piedi come se fossimo ancora nei primi giorni di stagione e, dopo il vergognoso -30 con Murray State, nella scorsa settimana ha rimediato una sconfitta casalinga da Florida A&M (#288 su KenPom adesso). Mancava il draft sleeper Jordyn Adams (che comunque ha iniziato malissimo quest’anno) ma non può essere una scusa. Terry Taylor e compagni possono e devono fare ben di meglio.

 

James Bishop (George Washington). Tempi supplementari, sei sotto di un punto e mancano 7.8 secondi alla fine. Tu che sei il go-to guy della squadra, cosa fai? Facile: ti fai morire la palla in mano e tiri una preghiera (in step back!) da 10 metri abbondanti. Ok, non è tutta colpa di Bishop: coach Jamion Christian avrà di sicuro chiamato qualcosa di leggermente diverso al timeout e i suoi compagni non hanno eseguito un bel nulla. Però, guardando bene l’azione, si poteva comunque fare qualcosa di meglio.

Louisville. Ok, tra i tanti mancava anche Carlik Jones, che finora era stato il miglior giocatore dei Cardinals. Ok, Wisconsin è squadra tostissima che darà filo da torcere a tutti, ma perdere di 37 punti è un po’ troppo. Non a caso, coach Chris Mack a fine partita era particolarmente arrabbiato con i suoi due sophomore più talentuosi, David Johnson e Samuel Williamson. I tifosi di Louisville l’hanno definita la tempesta perfetta e devono sperare che serva, perché la ACC non fa sconti e presto arriva una Kentucky che ha bisogno di vittorie.

 

I capricci di Cam’Ron Fletcher (Kentucky). Iniziare la stagione con un 1-5 è cosa brutta quanto rara a Lexington (non accadeva da 94 anni), ma tante volte abbiamo visto UK partire male, anzi malissimo, per poi impennare a febbraio, quindi ci guardiamo bene dal darla per morta. C’è da dire però che John Calipari, stavolta, ha più lavoro del solito da fare, non solo per via di un’annata strana per tutti (quindi la “solita” curva ascendente dei Wildcats ha un ostacolo in più da superare), ma anche per via di problemi di natura caratteriale col quale fare i conti. Nella sconfitta con North Carolina, Cam’Ron Fletcher (solo 3 minuti in campo) è stato visto disperarsi fino alle lacrime in panchina, scena-simbolo di una squadra davvero troppo ragazzina in questo momento, che ha un atteggiamento persino sufficiente a tratti. È da qui che deve partire il cambiamento, prima ancora di percentuali al tiro, palle perse e via dicendo.

I minuti in campo di Seth Towns (Ohio State). “Ma perché continuate a menarcela con sto Towns?”, direte voi. Perché nessuno abbina due caratteristiche come il talento e la sfortuna come lui. Non mette piede in campo dal 2018 e finalmente è tornato, per poco, a calcare un parquet. Per lui, una tripla tentata e una sbagliata. Occhio che se torna anche al 60-70% di quello che era ad Harvard, i Buckeyes diventano rognosi per tutti, nella Big Ten e al Torneo.

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