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Scott Drew e la sua promessa mantenuta

Scott Drew Baylor March Madness 2021
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 6 Apr, 2021

“John Lee Hancock ha promesso di fare un film su di noi quando avremmo vinto il titolo Ncaa!”. I coriandoli stanno ancora svolazzando e Jared Butler non trattiene le risate mentre la voce squillante di Scott Drew rimbomba nel Lucas Oil Stadium. Già è un fiume in piena di suo, figurarsi con un trofeo in mano. Al coach non basta aver regalato a Baylor il primo Natty della sua storia: vuole anche un biopic per sé e i suoi ragazzi. Il bello è che di materiale per la sceneggiatura ce ne sarebbe.

Scott Drew Jared Butler Baylor March Madness 2021

Scott Drew insieme a Jared Butler

L’apparenza inganna

Due anni fa abbiamo visto Baylor in un’afosa giornata romana di metà agosto. All’epoca non c’era modo d’immaginare che Davion Mitchell potesse diventare il miglior two-way player dell’intera Ncaa, né che il già citato Butler si sarebbe un giorno fregiato del premio di Most Outstanding Player della March Madness. Due protagonisti nell’unica formazione in grado di battere Gonzaga nel 2021 e cancellare il suo appuntamento con la storia.

Tutto poteva passarci per la testa tranne che Drew, quel signore lì coi vestiti e col sorriso da boyscout fuori tempo massimo, fosse già a buon punto nel costruire lo squadrone di oggi. Del resto, la sua storia è all’insegna delle apparenze che ingannano. Sembra uscito da una sitcom anni ’50. Non dice parolacce e non lancia insulti ai giocatori: ma non confondete l’assenza di rabbia con la mancanza di competitività”, dice C.J. Moore su The Athletic.

Troppo gioviale per essere competitivo, troppo energico per essere vero, troppo Scott Drew per essere vincente. Sempre allegro, anche troppo: una personalità così particolare, la sua, da sollevare dubbi sulla propria genuinità anche fra i giocatori, ma solo sulle prime, perché finisce sempre per conquistare chi gli sta vicino. Può accadere con una partita a ping pong giocata alla morte o con misure tanto originali quanto drastiche per caricare i suoi in allenamento. Drew è letteralmente disposto a farsi prendere a schiaffi da un suo giocatore pur di dare la scossa alla squadra. Invitando poi i ragazzi a fare altrettanto fra di loro. Immaginate la scena.

Scott Drew USP_NCAA_Basketball__Kansas_at_Baylor

Scott Drew in una posa abbastanza emblematica del personaggio

All’esterno però la storia è stata diversa. Gli scetticismi sulle sue capacità di allenatore e sulla sua condotta come reclutatore lo hanno accompagnato per diversi anni. In certi casi, non senza secondi fini. Nessuno gli ha regalato nulla e in parecchi non si sono fatti problemi a mettergli attivamente i bastoni fra le ruote.

Una promessa mantenuta

Scott Drew aveva preso le redini di Baylor nell’estate del 2003, ereditando un programma messo in ginocchio come mai nessun altro in Division I, né prima né dopo. Un giocatore, Patrick Dennehy, assassinato da un compagno di squadra. Un coach, Dave Bliss, che dice ai suoi di mentire agli investigatori e, così facendo, infangare la memoria del defunto. Un’indagine che, partendo da quella tragedia, solleva il coperchio su altri illeciti più o meno sportivi. Uno schifo indescrivibile.

Drew arriva a Waco, non proprio il posto più attraente del Texas, da semiesordiente e con 33 anni non ancora compiuti. Si presenta alla stampa dicendo che lui è lì per costruire un programma pulito ed arrivare a vincere un giorno il titolo Ncaa. Un pazzo scatenato? No, solo un inguaribile ottimista che, alla fine, è riuscito a mantenere la propria promessa.

“Ha faticato nei suoi primi anni a Baylor”, ricorda suo fratello Bryce, allenatore di GCU. “Non ero preoccupato per lui, ma non aveva mai bevuto caffè prima di andare lì. Ne è diventato dipendente e non ha mai smesso, perché ha dovuto lavorare duro per cambiare le cose. Baylor era la squadra di cui nessuno doveva preoccuparsi in quella conference. Quando poi hanno iniziato a vincere, la gente ha cominciato a prenderlo di mira, ma ha avuto la pelle dura nel corso degli anni”.

Proprio quando le cose si stavano finalmente mettendo bene, sono infatti arrivate le chiacchiere. Le voci sulle sue scorrettezze come reclutatore a un certo punto s’erano fatte così insistenti da mettere in moto la macchina della Ncaa. Risultato: tre anni d’indagini e nemmeno mezza infrazione riscontrata, ma comunque una reputazione da ricostruire.

Ci sono voluti anni e alcune delusioni cocenti, ma alla fine ha messo a tacere i detrattori in maniera spettacolare durante queste ultime due stagioni.

Ha cambiato pelle al proprio sistema difensivo, arricchendolo in maniera decisiva.

Ha costruito un attacco d’élite, il più letale di tutti dall’arco dei tre punti.

Ha messo insieme 54 vittorie in 60 partite e ha vinto il titolo Ncaa.

Ha fatto tutto questo rimanendo sempre se stesso e facendo le cose a modo suo, incastrando i pezzi del puzzle nel roster nella maniera più originale e lungimirante che ci sia, quella di chi davvero cerca i giocatori giusti e non semplicemente i migliori sulla carta. Mitchell e Tchamwa Tchatchoua panchinari ad Auburn e UNLV, Teague e Flagler reclutati dai bassifondi della D-I: tutti colpi da novanta sul mercato dei transfer, nessuno messo a segno per caso.

Ora non c’è più anima viva che possa dire Scott Drew non sa allenare.

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