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Cade Cunningham inizia l’assalto alla #1 del Draft

Cade Cunningham
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 10 Dic, 2020

La domanda sorge spontanea: c’è qualcosa che Cade Cunningham non sappia fare? Pare di no. Chiariamoci: lo sappiamo che evitare innamoramenti fulminei è buona norma, specie con matricole da lottery che non hanno ancora assaggiato avversari di alto calibro. Oklahoma State infatti è 5-0 dopo aver incontrato una squadra di rango discreto (Marquette) e quattro mid-major tra l’onesto e il mediocre. Nulla di trascendentale.

Pur mettendo in conto determinate cose, è impossibile non rimanere impressionati dall’arsenale dell’ex Montverde, dalla sua capacità di avere impatto in una miriade di aspetti e dalla sua futuribilità. D’altronde lo aspettavamo, come un po’ tutti. Mike Schmitz di ESPN lo definisce “uno dei prospetti più completi che io abbia mai analizzato” ed è fra i tanti a sostenere che, se il Draft venisse svolto oggi, Cade Cunningham sarebbe la scelta #1. Ci uniamo al coro? Eh sì, ci tocca.

Una point guard che segna…

Che quello del texano sia un profilo speciale, lo si capisce subito. Avendo visione di gioco e mani buone unite a 203 cm d’altezza e 100 kg di peso (gli ultimi due, doni graditi di un papà che fu giocatore di football) in teoria si sarebbe dovuto sviluppare da point forward o qualcosa del genere. E invece no, lui aveva ben altre idee in testa. Ed è così che, negli anni, è uscita fuori una PG con tutti i crismi, di quelle che possono trasformare una squadra. O perlomeno caricarsela sulle spalle, come visto nell’ultimo minuto e mezzo contro Oral Roberts, gara in cui il freshman ha messo a segno il suo attuale career-high (29 punti).

Quello che segue qui è sia un compendio di clutchness che di varietà di soluzioni offensive: una penetrazione dal pick and roll con palleggio e conclusione usando la mano sinistra, quella in teoria – ma solo in teoria – debole (1), una tripla in step back (2) e infine una conclusione ravvicinata di destro con giro sul perno per separarsi (3).

 

«Lo sanno tutti che è altruista», dice il cugino/allenatore Ashton Bennings, «Sentivamo gente dire che la passava troppo. Per lui l’ultima casella da spuntare nella lista era segnare». Casella riempita in pieno, con un bel pennarello verde. A vederlo oggi non si direbbe mai che fare canestro non gli venisse istintivamente, un tempo.

Il suo tiro in sospensione non è dei più fulminei ma è ben costruito, elegante ed efficace, oltre ad avere un punto di rilascio vantaggioso nei confronti della maggior parte dei pari ruolo NCAA. Per ora, stando ai dati di Hoop-Math, ha solo il 23.8% nei jumper da due punti e un bel 47.1% nelle triple (su 3.4 tentativi di media), ma è necessario sottolineare come in entrambi i casi si tratti quasi sempre di conclusioni complicate, create dal palleggio – e di cui la squadra ha bisogno, come vedremo meglio dopo.

La particolarità di Cade Cunningham, sta nel far partire il tiro come, dove e quando vuole lui. Almeno per ora, ci tocca aggiungere, perché resta da testare contro difese perimetrali più fisiche, pressanti e organizzate di quelle incontrate fin qui (e la Big 12 ne abbonda), anche se – sorpresa! – è lecito mettere un asterisco accanto a Marquette, fin qui più performante nella propria metà campo di quanto non si sia mai visto con Coach Wojo.

I mezzi per farsi temere anche al top, ci sono. Ha fluidità di movimenti, pazienza e un ball handling raffinato che gli permette di creare separazione con relativa facilità. Poco importa se si tratti di sfruttare un blocco (clip 1, 2, 3) o di sparare il tiro in faccia all’avversario (4), magari disorientandolo con una piccola finta prima di partire in palleggio (5) per poi andare a scherzarlo ulteriormente in step back (6), con tutta la calma di questo mondo.

 

Cade Cunningham sembra davvero giocare al ritmo della musica che ascolta (Rod Wave, a quanto pare, fra i vari). Rilassato, sereno, in pieno controllo sia del proprio corpo che del tempo da scandire in campo col pallone in mano. Il suo tempo. Quando attacca il canestro può far valere cambi di passo (1), serpentine (2), accelerazioni (3) o progressioni dall’andatura un po’ ingannevole (4), sempre mantenendo una coordinazione assolutamente invidiabile per qualcuno di quella taglia.

 

E se parliamo di uno-contro-uno, meglio farsi il segno della croce se lo affronti in campo aperto: lì la musica cambia, anche se il risultato finale è sostanzialmente lo stesso descritto fin qui. Canestro.

 

Al contrario di Jalen Suggs, lui al football non ha mai nemmeno pensato in maniera seria («Il basket mi dà una scarica d’adrenalina che non sentivo quando giocavo a football o altro»), però con quel corpaccione che si ritrova, forte ed elastico, forse avrebbe potuto dire la sua anche lì. Meglio per noi, che possiamo così goderci una guardia che, al college, può sfruttare il fisico in area come fosse un post player, potendo anche disporre di un tocco morbido con entrambe le mani. Per i pari ruolo, Cade è un match-up nightmare in tutto e per tutto.

 

…e che ovviamente fa segnare

Come già detto, Cade Cunningham nasce come giocatore che ha prima di tutto il passaggio in testa. E proprio il playmaking è il piatto forte della casa. Una pietanza per palati fini, che è semplice e complessa allo stesso tempo. Semplice per l’assenza di orpelli nelle soluzioni cercate (anche nelle rare volte in cui sembra che voglia strafare, di solito è tutto calcolato). Complessa per il livello raffinato d’interpretazione di ciò che si muove intorno a lui.

Agendo dal pick and roll, è altamente competente nel dispiegare tutte le soluzioni possibili in questa situazione di gioco: ci sono bei lob fatti a posta per mandare a nozze gli atletoni di Ok State (1), attente manipolazioni dei raddoppi da punire con traiettorie precise in spazi ristretti (2, 3) e totale polso della situazione nell’aspettare con pazienza che il bersaglio giusto da imbeccare si manifesti (4).

 

Il suo QI alto si vede chiaramente nel modo in cui trova risposte a situazioni differenti. Qui Oakland si schiera con una zona che lascia il fianco scoperto a tagli lungo la linea di fondo e Cunningham puntualmente va a tirare quella coperta corta per due volte nello spazio di poco tempo (da notare inoltre, specie nella prima azione, l’assoluta dimestichezza nell’usare il passaggio a una mano con la sinistra).

 

Intelligenza cestistica e istinti vanno qui perfettamente a braccetto. Probabilmente la cosa migliore fra le sue qualità di passatore sta nella velocità altissima con la quale legge ed esegue in attacco (1, 2) anche a giochi rotti (3).

 

Arrivati a questo punto, avrete già immaginato quanto segue: anche in transizione fa un male cane agli avversari quando c’è da creare per i compagni. Anche a velocità sostenute ritroviamo alcuni degli elementi snocciolati fin qui: occhiate e intuizioni repentine, stavolta per aprire il gioco con passaggi lunghi (1, 2), uso di brucianti assist direttamente dal palleggio (3, 4, 5) e di lob precisi per imbeccare il lungo di turno che non aspetta altro che inchiodarla di prepotenza (6).

 

La taglia da ala è sicuramente un bel vantaggio per le ripartenze dirette dal rimbalzo: eppure, a dispetto di numeri onesti per il suo ruolo (13.5 di DR%), la sensazione è che possa fare di più, che possa essere più continuo nel lavoro di tagliafuori e quindi aumentare ulteriormente il numero di occasioni di questo genere.

A proposito di numeri, non si può fare a meno di notare un Assist Rate (26.0) che non è di élite al momento (giusto per rendere un po’ l’idea: Marcus Carr, PG con un %Poss simile e che sta andando alla grande, ha il 38.4).

Premesso che, sì, il dato va preso per quello che è, visto il campione ancora ristretto, ci viene il sospetto che forse quelle cifre siano destinate a non cambiare più di tanto nel corso della stagione. Perché è vero che è compito di Cunningham migliorare i propri compagni ma, per rimediare a certe mani quadrate che popolano Stillwater, ci vorrebbe un miracolo. Tolte le sue triple, gli altri Cowboys hanno messo insieme un 28 su 90 dall’arco, pari al 31.1%.

In parole povere, la sua media assist potrebbe essere un po’ più alta se non si vedessero di continuo scene come quelle qui sotto, dove fa cose ottime ma vanificate dal risultato finale. La sua presenza, versatile e minacciosa, calamita l’attenzione di tre, perfino quattro avversari. Cunningham risponde ogni volta scaricando fuori a compagni che hanno praterie davanti. La ricompensa? Ferro, ferro, air ball.

 

L’altra metà del campo

Al capitolo difesa, Cade Cunningham ha mostrato alcuni buoni spunti, tutti all’insegna della versatilità. Nelle prime due azioni della clip sottostante, contro Marquette, una volta Isaac Likekele e un’altra Bryce Williams isolano Dawson Garcia in punta negandogli il consegnato. Il texano è l’uomo deputato a tenere a bada il lungo: nel primo caso, lo induce a commettere passi; nel secondo, riesce bene o male a costringerlo a una conclusione difficile.

Ok, Garcia ci mette un po’ del suo, ma non fermatevi lì. Sempre coi Golden Eagles, OSU si è schierata a zona in alcuni frangenti: su un ribaltamento, Cunningham è eccellente nello sprintare sull’arco per il close-out, forzare una persa e innescare il contropiede (3).

A proposito di ripartenze, lo vediamo anche andare a scippare lestissimo un pallone a un avversario dal baricentro molto più basso del suo (4). Letture, timing e taglia, infine, tornano utili anche a protezione del ferro (5).

 

Il presente di Cade Cunningham cela sfide interessanti e grosse curiosità da saziare per noi appassionati che lo osserviamo. Il bello è che il suo futuro potrebbe e dovrebbe essere ancora più elettrizzante: già così completo ora, suggerisce dei margini di miglioramento ulteriori che, provando a immaginarli adesso, accendono facilmente le fantasie.

I suoi obiettivi da sportivo sono da sempre tanto chiari quanto ambiziosi: diventare il top fra i top. Ma oltre ai risultati e ai premi che verranno (glielo auguriamo) c’è qualcosa di più. Un qualcosa che già riesce un po’ a trasmettere ora col suo modo così personale e così singolare di stare in campo.

C’è un’individualità molto ben definita, profonda, che nutre la sua anima di sportivo ma che comunque non si rinchiude nei confini di questa. Lui vuole vincere, sì, ma spera che un giorno verrà «ricordato di più per ciò che avrò fatto fuori dal campo col denaro e il mio status sociale, per come avrò aiutato la gente. Tutto ciò che chiedo, è di poter usare quel palco per avere un impatto nella vita di altre persone».

Dentro e fuori dal parquet, c’è da scommettere che Cade Cunningham ne avrà per tutti.

 

 

Copertina: AP Photo/Mitch Alcala

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