Una Final Four completamente imprevista, senza seed #1, #2 e #3 e con 3 squadre per la prima volta all’atto finale della March Madness. Niente di più imprevedibile con tanti eroi inediti nelle nostre pagelle, a partire da Jordan Miller che ha portato Miami nella storia.
Brian Dutcher (San Diego State). Se nel basket non ci fosse il cronometro dell’azione, lui sarebbe il primo a fare catenaccio per 40 minuti. Le sue squadre non affascinano ma si fanno sempre rispettare e non conoscono ostacoli insormontabili: Final Four strameritata dopo il furto subito dal Covid nel 2020.
Florida Atlantic. “We’re some pit bulls and rottweilers”. No, non chiamateli Cinderella perchè come spiega Alijah Martin, uno dei tanti sophomore degli Owls, sono tutto fuorchè un personaggio da favola. Sono veri, tosti, corrono e vincono.
Caitlin Clark (Iowa). Mai nessuna (e nessuno) aveva mai messo su numeri del genere in una gara della March Madness: 41 punti, 10 rimbalzi, 12 assist contro Louisville per trascinare le Hawkeyes alla prima Final Four dal 1993 e confermare il suo status di dea in mezzo alle povere mortali del college basket.
Jordan Miller (Miami). Prima protagonista delle Sweet 16 e poi eroe delle Elite Eight: 27 punti con 7/7 dal campo e 13/13 ai liberi. Sulla Final Four c’è la sua firma.
Tosan Evbuomwan (Princeton). Losing effort notevole con Creighton (24 punti, 6 rimbalzi, 9 assist) per alimentare ulteriormente l’hype intorno a lui. Prossimo alla laurea, non può più giocare nella Ivy League: transfer portal o salto tra i pro per lui?
André Jackson (UConn). Due triple doppie sfiorate (15 punti, 17 assist e 17 rimbalzi in due partite) per l’uomo che trasforma la difesa in attacco per gli Huskies. É lui il vero playmaker di coach Dan Hurley.
Nijel Pack (Miami). Le sue triple hanno prima colpito e poi affondato Houston. Ha chiuso la gara di Sweet 16 con 26 punti e 7/10 da 3. Letale.
Ryan Kalkbrenner (Creighton). Esce con l’amaro in bocca, ma la sua March Madness è stata eccellente: 20 punti tondi tondi, oltre 6 rimbalzi e quasi 2 stoppate di media in quattro gare.
Markquis Nowell (Kansas State). 50 punti, 31 assist e 10 palle rubate in due partite. Più di così davvero non poteva fare ed è stato a mani basse il giocatore migliore del Torneo. Ma da soli non si arriva da nessuna parte e contro FAU ha predicato davvero nel deserto.
Norchad Omier (Miami). Non arriva a 2 metri ed è tutto l’anno che affronta i centri avversari più alti come se fosse Shaquille O’Neal. Presenza fondamentale al Torneo.
Julian Strawther (Gonzaga). Coach Mark Few l’ha definita lo “Schema Jay Wright”. Ecco, la tripla di Strawhter non avrà lo stesso impatto di quella di Kris Jenkins, ma il junior dei Bulldogs si è ritagliato il suo pezzetto di storia.
Drew Timme (Gonzaga). Leggendario contro UCLA, stanco e bloccato contro UConn. Finisce alle Elite 8 la carriera di uno dei giocatori più memorabili dell’ultimo decennio. Grazie Baffone.
Jarace Walker (Houston). Nella disfatta contro Miami è l’unico che ci ha provato. Classe e fisico sono da NBA e lui è già pronto per il draft.
Mick Cronin (UCLA). Per il terzo anno di fila una tripla nell’ultimo minuto gli rovina i piani. Ma a coach Mick Cronin vanno fatti soli i complimenti per come ha fatto giocare UCLA, anche quando Adem Bona e Jaylen Clark sono mancati.
Texas. Si sono bloccati sul più bello ma, rispetto a tante altre big, hanno fatto una figura migliore, arrivando a un passo dalle Final Four anche senza un giocatore chiave come Dylan Disu. E coach Rodney Terry si è meritato una sacrosanta riconferma.
Matt Bradley (San Diego State). Quello che toglie le castagne dal fuoco in attacco si è in realtà scottato le mani nelle ultime due: 6 punti con Alabama, 2 con Creighton e 3/17 totale dal campo. Alle Final Four dovrà fare parecchio meglio.
Tyger Campbell (UCLA). Una gestione perfetta della partita, tanti palloni in mano, 9 assist, nessuna palla persa fino all’ultimo possesso. Strawther aveva lasciato tempo sul cronometro ma la tensione ha tradito Campbell che chiude così e con un 5/16 la sua carriera in D-1.
Tennessee. Il voto è la media tra un torneo più che sufficiente e una pallacanestro inguardabile. Escono dopo aver segnato più di 60 punti una sola volta in tre partite, lasciando la netta sensazione di saper soprattutto menare e basta.
Marcus Sasser (Houston). Non era in forma, ma ha steccato proprio quando non doveva. Al di là delle percentuali (2/8 da 3) è risultato nervosissimo in campo.
Dillon Mitchell (Texas). Doveva essere uno dei freshman più forti dell’anno, ha confermato anche alla March Madness che non è pronto manco per l’Ncaa. Sono i 4 punti nelle ultime due partite di una stagione ampiamente sotto le attese.
Gli arbitri. Il secondo turno di Elite Eight si è chiuso con mille proteste, dal fallo finale di Ryan Nembhard che ha dato la vittoria a San Diego State su Creighton ai 32 liberi tentati da Miami che hanno fatto infuriare i tifosi di Texas.
Devo Davis (Arkansas). I punti li ha finiti tutti nel secondo tempo contro Kansas. Se lì era stato un leone, contro UConn si è trasformato in gattino, distrutto e bloccato dalla difesa degli Huskies. 1/10 per finire mestamente la sua March Madness.
Jerome Hunter (Xavier). Il migliore contro Kennesaw State, poi fondamentale contro Pittsburgh è sparito contro Texas. 3 punti, 3 tiri, 0 falli. Un fantasma.
Brandon Miller (Alabama). Dopo due turni deludenti se ne torna a casa sparacchiando orrendamente contro SDSU (3/19 dal campo). Marzo inglorioso, ma state certi che sarà comunque scelto molto in alto al Draft.
Nolan Hickman (Gonzaga). Zero punti nelle due partite più importanti della stagione dei Bulldogs. Non bene per il playmaker titolare e teorica pietra fondante del prossimo corso di Gonzaga.