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Da Kentucky a North Carolina, 5 big in crisi

Roy Williams - North Carolina
Autore: Redazione BasketballNcaa
Data: 3 Feb, 2021

Quello di sabato sarà il primo derby della Tobacco Road dal 1960 che si giocherà con entrambe le squadre fuori dal ranking, ma Duke e North Carolina non sono le uniche due big in difficoltà. Anzi, si può dire che mai come in questa stagione tutto il gotha storico del college basket stia vivendo un anno tra tanti bassi e pochi alti, con ovvio impatto sulle tre principali conference (Acc, Big 12 e Sec) che avranno padroni diversi dal solito. E per qualcuna è addirittura a rischio la partecipazione alla March Madness.

Vediamo quali sono i motivi della crisi delle 5 vere blueblood dell’Ncaa.

Kentucky da record (negativo) che non sa come segnare

Nessun team partito in stagione 1-6 ha strappato poi un at-large-bid, cioè un invito al torneo. Era dal 1988-89 che Kentucky non perdeva sei partite consecutive ed era addirittura dal 1926-27 che non partiva 5-10.  Siamo arrivati a febbraio e John Calipari ha già schierato sette quintetti titolari diversi e non ha risolto l’enigma di un attacco che non sa come mettere punti a referto (105.6 di AdjOff, il peggior dato dei Wildcats mai rilevato da Kenpom). Partite buttate al fotofinish (ben tre), un graduate transfer come Olivier Sarr di una discontinuità sconcertante e una classe di freshmen sopravvalutata e mal assortita.

BasketballNcaa - Kentucky

Questa grafica riassume tutta la storicità della stagione di Kentucky. È del 9 gennaio, quando Kentucky aveva vinto tre partite di fila…

Preso dalla disperazione, e dall’infortunio di Terrence Clarke, Calipari ha iniziato a dare una chance al fondo della panchina. Ha trovato qualche risorsa inaspettata come il tiro di Dontaie Allen (46% in una squadra che tira il 29%, peggior percentuale della storia di Kentucky), decisivo contro Miss State e Vanderbilt, o l’energia di Jacob Toppin e Lance Ware, ma soprattutto il ritorno di Keion Brooks che ha portato una fisicità che Boston o Clarke non hanno. La difesa, pur di alto livello (14° per KenPom), non riesce a recuperare palloni (268° per To%) e a scatenare la squadra in contropiede (l’unica cosa che riescono a fare i Wildcats). Tutto questo basta, a malapena, a galleggiare in mezzo alla classifica di una SEC di basso livello e anche contro Missouri è arrivata un’altra sconfitta. Nonostante il calendario preveda ancora scontri con Tennessee e Florida, il torneo sembra una chimera.

Big 12 addio, il mese da incubo di Kansas

E poi è arrivata Kansas State, la peggior squadra della Big 12 capace di far fare bella figura a chiunque. Ma gennaio è stato per Kansas un mese da cancellare, con la lenta discesa dalla #3 alla #23 del ranking (peggior posizione dal 2008-09) dopo un parziale di 3-5 non esattamente in linea con le aspettative. Non siamo ai disastri strutturali delle altre big, ma le quattro sconfitte di fila lontano dall’Allen Fieldhouse, compresa l’ultima disarmante sul campo di Tennessee, hanno convinto i tifosi della necessità di rimedi alternativi.

 

Ci vuole in effetti uno sciamano per capire perché Christian Braun passa dal 5/6 da 3 contro Baylor all’1/11 con 11 punti totali nelle altre 3 sconfitte in trasferta. E se David McCormack segna ma prende 2 rimbalzi, poi si finisce travolti 38-23 sotto i tabelloni anche contro una squadra come i Vols, che di lunghi veri non ne ha poi molti. Bill Self ci sta provando in tutti i modi, spostando Dejuan Harris in quintetto o riesumando Tyon Grant Foster nelle rotazioni, senza cavarci granchè. Meglio sperare che quella di Jalen Wilson sia una normale pausa da freshman e soprattutto nel facile calendario di febbraio. Il titolo della Big12 è andato con Baylor ormai irraggiungibile, ma la stagione può ancora dare qualche soddisfazione perchè la squadra ha esperienza per uscire fuori dal buco di gennaio e tornare a essere un avversario bello tosto per tutti.

L’inspiegabile caos di Michigan State

Talento, esperienza, una panchina profonda, un coach da Hall of Fame. Gli Spartans quest’anno avevano tutto per disputare una stagione brillante. Il verbo “avevano” è all’imperfetto perché in realtà finora è stato un disastro. Non sono ultimi in Big Ten solo perché c’è Nebraska che è ancora alle prese con la rivoluzione Fred Hoiberg quindi quasi non conta. Cosa non gira? Principalmente l’attacco. Michigan State è ultima (sì, peggio di Nebraska) per percentuale da 2 punti e per eFG%. Non la mettono mai. Ma mai mai mai.

I peggiori? C’è l’imbarazzo della scelta. Aaron Henry doveva essere il leader designato e lo è per energia, ma non per tecnica. Morale prende tante responsabilità, ma fa casino (3 perse a gara) ed è poco preciso (non è uno come Jared Butler, per capirci). Il senior Joshua Langford se tira smarcato segna anche, ma gli serve qualcuno che gli  prepari la colazione. Joey Hauser è forse quello con il maggiore talento, ma anche lui finora non è sembrato un leader. La guardia Rocket Watts, dopo un inizio promettente in cui aveva mostrato lampi e capacità realizzative, è stata punita dalla Big Ten, che ne ha messo in evidenza tutta l’immaturità. Il risultato è una squadra con enorme potenziale ma totalmente sfuocata, che dà la sensazione di fare sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato.  Auguri coach Izzo.

Duke, a volte il talento non basta

La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita. Parafrasando Forrest Gump, un anno recluti Zion Williamson e RJ Barrett e sostanzialmente puoi metterti in panchina con una scatola di popcorn a gustarti lo show, un altro anno hai invece da far girare una squadra con giovani meno talentuosi o cui serve più tempo per crescere. Quest’anno a Durham il talento c’è e a tratti si vede anche, ma mancano tanti fondamentali. Un sintomo? Coach K non ha ancora deciso quale difesa schierare e sempre più spesso ricorre alla zona, per preservare i suoi lunghi dai falli e per limitare i possessi degli avversari. Ma per una squadra che nella sua storia ha quasi sempre difeso a uomo sa più di ammissione di debolezza che variante tattica da sfruttare.

 

Le note più positive vengono dalle ali, Matthew Hurt è l’unico a fornire prestazioni costanti mentre Jalen Johnson è un jolly che porta lampi di talento offensivo e difensivo (anche se un po’ ci ha illuso: è partito con 1/1 da 3 e ha proseguito con 3/13). Le note dolenti vengono dal reparto guardie. DJ Steward e Jeremy Roach stanno in campo rispettivamente 32.6 e 28.3 minuti, ma non garantiscono qualità con continuità, soprattutto il secondo, che fatica a trovare la mano da fuori. In più Wendell Moore, chiamato all’anno della maturità da sophomore, sta ancora decisamente faticando. Il risultato è una squadra poco efficace sotto i tabelloni, molto sbilanciata sulla produzione offensiva della coppia Hurt-Johnson e poco incisiva dalla lunga distanza.

North Carolina senza ‘costruzione’ e tiro dall’arco

La scorsa stagione si è toccato il fondo, ma quest’anno con la miglior classe di reclutamento di Roy Williams (5 giocatore in top-100 di cui 3 in top-18) a Chapel Hill ci si aspettava il rilancio. E invece così non sta andando. Certo, dopo l’inizio di regular season di conference con lo 0-2  contro le non irresistibili NC State e Georgia Tech, le 6 vittorie nelle ultime 8 partite hanno raddrizzato la barra e forse salvato la partecipazione al Torneo Ncaa. Ma non ci siamo. Lo stesso coach, nel post gara dopo l’ultima sconfitta contro Clemson, ha sottolineato come non sia possibile vedere azioni di questo genere

 

Le palle perse, tante, troppe, sono IL fattore penalizzante fin qui della stagione di North Carolina, che ne perde 15 a partita a fronte dei 14.8 assist. Sicuramente la causa maggiore è un backcourt che non riesce ad incidere nella costruzione del gioco per colpa soprattutto dei suoi due freshman. Il tanto atteso Caleb Love ha più perse (3.3) che assist (3.1) oltre a tirare con un desolante 30.4% dal campo e anche RJ Davis sta deludendo e ha finito per perdere il posto in quintetto in favore di Kerwin Walton. Quest’ultimo è stato buttato nella mischia perché è l’unico che ci piglia da 3 (42.4% con 28/66), altro tallone d’Achille di North Carolina che si piazza al 291/o posto della Division I con il 30.2% dall’arco.

Non grandi notizie anche dai lunghi, con Garrison Brooks per molti considerato a inizio stagione il giocatore dell’anno in ACC, che sta facendo dimenticare di essere un senior: poca la sua personalità e leadership tant’è che anche lui è partito per tre gare dalla panchina. Ma il frontcourt è comunque quello che tiene più o meno a galla la squadra dato che il trio Brooks-Bacot-Sharpe segna il 43,8% dei punti di squadra, convertendo il 53,4% delle conclusioni da 2. E tra le note liete non può che esserci proprio Armando Bacot, il sophomore che più di ogni altro sembra avere continuità di prestazioni. Ma di certo non basterà da solo ad evitare un’altra disastrosa stagione.

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