Se ne parla da un po’ e ora i discorsi prendono sempre più forma di realtà. Nella sua ultima riunione, il Consiglio direttivo della NCAA si è espresso favorevolmente sulla possibilità di concedere agli studenti-atleti la possibilità di sfruttare i propri diritti d’immagine. Le proposte fatte non sono ancora in vigore e saranno soggetto di votazione nel gennaio 2021. La svolta però si fa sempre più vicina e mira a modernizzare un pezzo dello sport universitario, pur con l’intento di non alterare lo status dilettantistico dei giocatori di college.
Né la NCAA, né le università sue affiliate pagheranno i giocatori, ma questi potranno finalmente trarre guadagno da terze parti attraverso i NIL (Name, Image, Likeness). Insomma, gli studenti-atleti potranno siglare accordi di sponsorizzazione – con le shoe companies chiaramente in prima fila – e anche trarre guadagno con altre attività in proprio (attraverso i social media, per fare un esempio), a patto però che endorsement e attività varie non coinvolgano l’immagine degli atenei cui i giocatori sono iscritti, né quella della conference di cui fanno parte. I paletti che andranno messi qui sono al momento tutt’altro che chiari ed è auspicabile che questo aspetto venga regolamentato nella maniera più limpida possibile, pena creare ulteriori grattacapi e limitazioni alle libertà di azione degli atleti.
E a proposito di paletti irrinunciabili, è tutto da vedere come verrà tradotto nel reale il principio di equo valore di mercato di cui ha parlato il presidente Mark Emmert. In parole povere, impedire che i vari booster creino concorrenza sleale fra le i programmi atletici cui sono connessi gonfiando gli importi di un dato endorsement. Un principio ragionevole ma forse difficile da regolamentare in modo efficace.
Le proposte avanzate dal Board cadono in un momento particolare, data la recente svolta della G League e la decisione di alcuni prospetti top della classe 2020 d’intraprendere una strada alternativa a quella universitaria. Un timing che purtroppo ben si presta a foraggiare la pigra, stanca e fuorviante narrativa della NCAA-subalterna-alla-NBA. Le cose sono un po’ più articolate di così.
Questa recente presa di posizione della NCAA era stra-annunciata dallo scorso autunno, quando lo stato della California (poi seguito da altri come la Florida) aveva stabilito con una legge – che entrerà in vigore nel 2023 – la possibilità di usufruire dei diritti d’immagine per gli studenti-atleti. Era dunque chiarissimo da diversi mesi che avremmo assistito ad un’accelerata in un dibattito già in corso nel mondo sportivo universitario. Un dibattito innescato dalla corruzione dilagante nel mondo del recruiting, messo in luce dalle indagini FBI e che trova le sue origini nella famigerata regola dei one-and-done. Una regola – è sempre bene ricordarlo – nata da decisioni del mondo NBA, non quello della NCAA.
Nel corso degli anni, il sistema dello sport universitario ha creato iniquità gigantesche al suo interno anche e soprattutto in ambiti non legati alla regola in questione, ma ridurre tutta la faccenda a uno scontro – molto più immaginario che reale – fra una NBA virtuosa e una NCAA matrigna è quanto di meno ci sia di corrispondente al vero.