Duane Washington contro Northwestern, E.J. Liddell contro Michigan State, Wisconsin e Illinois, Justice Sueing contro Penn State, Kyle Young contro Maryland e Iowa, Justin Ahrens contro Nebraska. A Ohio State non c’è un unico leader dichiarato, nemmeno due. Partita dopo partita la squadra trova sempre un giocatore diverso capace di imprimere il suo marchio sulla vittoria finale. Quello che colpisce guardando i Buckeyes quest’anno è questo, il gruppo, dentro e fuori dal campo, con merito evidente di coach Chris Holtmann, che sta pian piano entrando nei possibili candidati per il coach of the year.
La squadra ha un record di 11-4 e delle 4 sconfitte (due contro Purdue) una sola è stata netta, quella in casa di Minnesota, mentre due sono arrivate con solo un possesso di scarto. Il grande quesito, in vista delle partite che conteranno, è che il team sembra più votato alla fase offensiva che a quella difensiva. L’attacco dei Buckeyes è il quarto della nazione dopo Iowa, Gonzaga e Baylor mentre la difesa sta pian piano migliorando ed è quarta per efficienza nella Big Ten.
La squadra è stata di recente inserita nelle 16 teste di serie di un possibile Torneo Ncaa e le è stata assegnata una delle quattro teste di serie #1. Quello che a inizio stagione veniva considerato un punto debole della squadra, ossia la mancanza di chiari leader o scorer designati, è diventato via via un punto di forza: l’attacco di Ohio State infatti non dipende da alcun giocatore in particolare. Diabolici in contropiede, guardando i Buckeyes colpiscono la capacità di eseguire, che porta la squadra a perdere pochi palloni in attacco (decima della nazione, quinta tra le power conference) e l’aggressività complessiva, testimoniata dalla prima posizione in Big Ten per rimbalzi offensivi.
Sfortuna, esperienza e talento
Seth Towns doveva essere la ciliegina e l’aggiunta di talento a un roster già solido, ma l’ala proveniente da Harvard, anche se ha ripreso a giocare, sembra lontano dalla sua forma migliore. Sta in campo in media 10 minuti a gara e ha saltato le prime 6. Jimmy Sotos, il transfer da Bucknell, doveva aiutare in regia, ma dopo 12 partite un’infortunio alla schiena ha messo fine alla sua stagione. C.J. Walker invece, point guard titolare, ha dovuto saltare già 4 match.
Il risultato è un roster che non è mai stato (e mai sarà) quello che aveva immaginato Chris Holtmann in estate, ma in compenso Ohio State sfruttando l’esperienza di tre junior e tre senior in rotazione, è riuscita a trovare nuovi equilibri. Walker è il nano razzente, dedito a incursioni e scarichi (miglior assistman della squadra con 4.1), mentre Zed Key è un freshman massiccio di 203 cm che sta portando impatto immediato dalla panchina e che sotto canestro sposta più di quanto dicano le cifre. Il quintetto più utilizzato però prevede Washington in regia e poi quattro giocatori versatili alti 2 metri, ossia quelli citati all’inizio dell’articolo: Liddell, Sueing, Young e Ahrens.
Partiamo da quest’ultimo, che è il tiratore per eccellenza della squadra e per certi versi il più “tiratore” dell’intero college basketball. Il tabellino del mancino è una burla: 46/98 da tre punti (quasi il 47%) e 3 soli tiri dentro l’arco. Il primo tentativo da due punti è arrivato contro Nebraska il 30 dicembre, il secondo il 16 gennaio, mentre il terzo in realtà è una tripla segnata con il piede sulla riga. Di fatto, Ahrens vive sulla linea da tre e costringe le difese a stare larghe.
Il compito di inventare è lasciato a Washington e a Sueing. Il primo è al terzo anno allenato da Holtmann, efficace e instancabile. La vera sorpresa è invece Sueing, transfer nato a Honolulu che ha giocato due anni a California che grazie alla sua mobilità e alla sua versatilità (e alto 201 cm) riesce a essere molto efficace in difesa, ma ha anche doti da attaccante (è il terzo marcatore della squadra con 10.7 punti).
Sotto canestro ci sono Young e Liddell, anche se nessuno dei due è un gigante d’area. Il primo è un senior di 203 cm che gioca da lungo e fa il lavoro sporco, porta i blocchi più duri, cattura i rimbalzi più contestati e ricava canestri di rapina sotto canestro, il tutto pur tirando con 8/22 dall’arco. Infine c’è il sophomore Liddell. Ecco lui è la vera star della squadra (e ve ne abbiamo già parlato nelle nostre pagelle settimanali).
La prima stella di coach Holtmann
Liddell è uno dei motivi della grande stagione di Ohio State. Miglior marcatore (15.1 punti), miglior rimbalzista (6.7) nonché miglior stoppatore (1.3) della squadra. Tenetelo d’occhio perché il talento di Belleville (Illinois) è di quelli che potrebbero brillare quasi più in Nba che al college. In Ncaa sta giocando sotto canestro sfruttando atletismo e mobilità (e non è il primo, basti pensare a Justin Champagnie di Pittsburgh), doti che gli permettono di incidere più in difesa che in attacco. Con lui in campo infatti Ohio State segna 1 punto in meno su 100 possessi (125 senza e 124 con), ma grazie a lui la difesa subisce 9 punti in meno (90 contro 99).
Per capire che tipo di evoluzione possa avere, bisogna vederlo tirare. Nonostante giochi da lungo, solo il 28% delle sue conclusioni sono al ferro, il resto sono jump shot (50%) e tiri da tre (22%). Di fatto, è un’ala piccola con grande propensione al rimbalzo, il che, in ottica pro, potrebbe renderlo merce interessantissima. Guardando un qualsiasi filmato con i suoi highlights di una qualsiasi partita si nota la varietà di movimenti e le molte soluzioni offensive che offre. Qui di seguito nel filmato recupera il pallone e conduce il contropiede andando a segnare. Da notare come nella parte finale dell’azione, cambi mano con disinvoltura pur essendo in velocità.
Le percentuali di tiro indicano una costante crescita. La mano è morbida e si vede a occhio nudo. È passato dal 19% dall’arco all’attuale 31% da tre, con la ciliegina che raramente sbaglia quando conta. In più, ha imparato ad attaccare dal palleggio e oggi è il quarto in Big Ten per falli subiti (prima di lui solo Luka Garza, Trayce Jackson-Davis e Kofi Cockburn). Il vantaggio però rispetto ai tre che lo precedono è che tira i liberi con quasi il 76%, che oltre a garantire punti a referto (10/10 nella vittoria contro Penn State) è un altro segnale di una mano educata e soprattutto educabile, in ottica professionismo.
Un coach in rampa di lancio
Parlando di Ohio State, non vanno sottovalutati i meriti di Holtmann. “Ovviamente è importante come è costruito il roster, ma tanto non succede mai che tutto funzioni come avevi preventivato“, ha detto l’allenatore pochi giorni fa. “Sapevo che avremmo avuto qualche problema difensivo, ma confidavo che portando ogni membro della squadra a esprimere il suo massimo potenziale, il mix finale avrebbe funzionato e finora è stato cosi“.
Holtmann è uno di quegli allenatori che sembrano avere il tocco magico. Ha iniziato dieci anni fa con Gardner-Webb, portata in tre stagioni da 11 a 21 vittorie. Passato a Butler, ha subito riportato la squadra al Torneo Ncaa conquistando le Sweet 16 nel 2017, sconfitto poi dalla North Carolina che avrebbe vinto il titolo. Nel passaggio a Ohio State ha ereditato il lavoro di Thad Matta e finora non ha mai mancato l’approdo al Torneo, mostrando una capacità preziosa per un coach, ossia quella di saper far funzionare le squadre in base al materiale a disposizione. Domenica 21 febbraio lo attende il big match contro Michigan per il trono della Big Ten.