Arizona si vendica di Texas Tech e continua a condividere la vetta della Big 12 con Houston. Questo e molto altro nelle pagelle della Week 14.
Arizona. I balbettii della non-conference season sono ormai un ricordo lontano e la squadra è ormai la candidata principale al titolo di Big 12 facendo a spallate con Houston (occhio allo scontro diretto di questo weekend). Cruciale la vittoria-vendetta su Texas Tech, unica formazione della conference capace di batterla fin qui. Dominio assoluto nel pitturato e nervi saldi in una gara sempre condotta ma senza scappare via nel punteggio: questi i due ingredienti principali di un successo di squadra arrivato senza poter contare sull’infortunato Trey Townsend.
RJ Louis (St. John’s). Il fatto che giochi in una squadra non così sotto i riflettori in una conference che non è né la SEC né la Big 12 né la Big Ten gli sta togliendo il giusto merito. L’ala di St John’s sta disputando una stagione pazzesca. Il tiro da tre non è la specialità della casa, ma il jumper dalla media è letale. E quando la palla pesa, le percentuali si alzano. Il suo 10/15 da due in casa di UConn (che ritrovava Liam McNeeley) ha di fatto sancito la vittoria dei Johnnies. Difensore sottovalutato, diabolico in campo aperto. C’è la sua firma sulla grande stagione di St. John’s.
Florida. Non poteva mettersi alle spalle il tonfo con Tennessee in modo migliore. I Gators prima regolano la mina vagante Vanderbilt e poi, dopo aver toppato le due trasferte più toste della stagione, vanno in casa dell’imbattuta Auburn e ne escono con una vittoria, frutto di un secondo tempo dominante (+21 toccato a 14:21 dal termine, 90-81 il risultato finale) con tanto di pioggia di triple (13/33 in totale). Il titolo della SEC molto probabilmente si deciderà nei due scontri a venire fra le cuginastre Auburn e Alabama, ma UF è lì dietro pronta a punirle in caso di passi falsi.
Ryan Kalkbrenner (Creighton). Se per la seconda settimana di seguito lo vedete qui con un 9 in pagella è perché se lo merita. E anche perché in pochi lo celebrano abbastanza. All-American fatto e finito per l’unica formazione che riesce a tenere il passo di St John’s nella Big East, in settimana ha dato un’ennesima dimostrazione del suo talento prima risultando inarrivabile per una squadra scarica di lunghi come Providence (35 punti anche con due triple) e poi rasentando la perfezione contro Marquette, sbagliando un solo tiro in tutta partita. Siamo alla nona vittoria consecutiva, ma ora arrivano prima UConn e poi i Johnnies.
Grant Nelson (Alabama). Successo sul campo di Arkansas più sofferto del previsto, ma i Crimson Tide alla fine festeggiano e agguantano i rivali di Auburn in cima alla SEC. L’ex North Dakota State, top scorer dei suoi insieme a Chris Youngblood, merita un plauso per due giocate cruciali nel finale che hanno rispedito al mittente il tentativo di rimonta dei Razorbacks. Alabama ora ha 6 vittorie consecutive all’attivo e Nelson non ha mai tradito in nessuna di queste uscite (15.5 punti, 7.2 rimbalzi, 1.8 stoppate in 27.8 minuti).
New Mexico. I giochi nella Mountain West sono tutt’altro che fatti, ma UNM sembra davvero avere una marcia in più. Reduce dalla mega-vittoria in casa di Utah State, in settimana si è affermata di autorità anche sulla pericolosissima Colorado State (e, per la cronaca, anche sulla molto meno pericolosa Air Force) con un +22 finale. Le doppie doppie in serie di Nellie Junior Joseph, le zingarate in area di Donovan Dent e un contorno ultra solido: Pitino il giovane ha le armi giuste per conquistare il titolo di conference e ha la chance di mettere l’ipoteca sulla vittoria finale nel weekend, se dovesse superare USU per la seconda volta.
Jase Richardson (Michigan State). A fine del primo tempo della partita contro Oregon, Michigan State era nei guai: nel momento più delicato della stagione, reduce da due sconfitte, aveva appena preso 50 punti nei primi venti minuti di gioco. Poi è arrivato Richardson: semplicemente immarcabile nel secondo tempo dove firma 18 dei suoi 29 punti finali, tra triple dallo scarico, movimenti di pura di potenza vicino al canestro oppure magie dal palleggio. Gli Spartans risorgono dopo due brutte prove, anche di Richardson (0/6 martedì contro UCLA), contro le università di LA.
Dre Davis (Ole Miss). Molto più facile battere Kentucky che una LSU con una vittoria in SEC no? Ole Miss fa sul serio grazie ad una settimana da stella di Davis: non la prima punta offensiva dei Rebels, ma l’onesto glue guy del quintetto. Eppure, prima con 17 punti contro i Wildcats e poi con il tap-in vincente allo scadere con LSU, che corona una prestazione da 22 punti, il senior si è preso in mano la squadra di Chris Beard dopo un periodo complicato (tre sconfitte in quattro partite).
Augustas Marciulionis (Saint Mary’s). Di rado stecca ma mai due volte di seguito. Leading scorer spadellatore (orrendo il suo 2/12 da tre) nello scontro d’alta quota con San Francisco risultato in una sconfitta di misura per SMC, il play lituano però si è rifatto subito registrando 18 punti e 10 assist nella vittoria in trasferta su Oregon State che consente ai Gaels di mantenere due vittorie di vantaggio sulla prima inseguitrice nella West Coast, ossia la già citata USF.
Zvonimir Ivisic (Arkansas). Nel mezzo di una stagione di alti (pochi) e bassi (parecchi), il croato ha ricominciato a metter su numeri di un certo livello da un mesetto scarso e, contro Alabama, ha sfoderato la sua miglior prestazione di sempre su entrambi i lati del campo: 27 punti, 7 rimbalzi, 3 stoppate e 3 recuperi per un tentativo di rimonta non andato a buon fine per i suoi. Per la serie: bene, parecchio bene, ma non abbastanza.
Arthur Kaluma (Texas). Stava disputando la sua migliore stagione dall’arco con un 40% abbondante, ma il suo 0/6 complessivo da tre ha pesato nelle ultime due sconfitte. Quella con Vanderbilt in particolare è stata un’occasione sprecata, visto che a metà del secondo tempo la squadra era a +10 con il vento in poppa. Da lì un blackout offensivo di squadra. Kaluma si è anche preso qualche tiro fuori dagli schemi per provare a sbloccare la situazione ma senza successo. E così Texas resta ai piani bassi della SEC.
Missouri. Dal poter rimanere in scia di Auburn e Alabama allo slittare a metà classifica è un attimo in questa SEC che davvero non perdona nessuno. Dopo una settimana da urlo, Mizzou si ritrova a cedere di misura in due big match con Tennessee e Texas A&M. Più meriti avversari che demeriti propri, specie nel primo dei due scontri in questione, ma limitare le perse e spadellare un po’ di meno con gli Aggies avrebbe consentito di non dover rincorrere nel primo tempo e creare un distacco più sicuro nel finale, situazione risultata fatale per i Tigers con la tripla clutch di Wade Taylor a 2.1 secondi dalla fine.
Jeremiah Fears (Oklahoma). Lo abbiamo celebrato, meritatamente, a inizio stagione ma ora dobbiamo metterlo dietro la lavagna. I Sooners adesso faticano nella terribile SEC: hanno perso 7 delle ultime 10 partite e le sconfitte coincidono con le prestazioni non più così brillanti del freshman. Soli 2 punti in casa di Georgia, zero contro Texas A&M, appena 8 nella debacle casalinga contro Tennessee. Il problema è anche il rapporto assist/perse, spesso negativo per uno che tiene tantissimo il pallone tra le mani. È solo un freshman, avrà tempo per rifarsi.
Marquette. Ahia Shaka! Dominante contro le piccole, sofferente contro le big. Il calendario gli ha messo di fronte UConn, St John’s e Creighton una dopo l‘altra e di colpo sono arrivate tre sconfitte. Tre battaglie di certo, dove Marquette ha venduto cara la pelle ma si è esposta in tutte le sue fragilità. I campioni in carica hanno mostrato un’altra fisicità nel reparto esterni, St John’s gioca ad un’intensità pareggiabile da pochi e Marquette non ha un lungo dal tonnellaggio di primo livello da mettere sul Kalkbrenner di turno. Dieci giorni nefasti per coach Smart che ha visto un obiettivo, quello della regular season in Big East, sfumare per piccoli dettagli.
Caleb Foster (Duke). Chiariamo, la squadra non ha perso in casa di Clemson per colpa sua. Ma non ha nemmeno vinto alcuna partita per merito suo, perché di fatto è sparito dal campo. Coach Scheyer lo utilizza con il lumicino: 3 soli minuti contro i Tigers nonostante mancasse Mason Gillis. A inizio stagione doveva essere l’arma in più dei Blue Devils dalla panchina, e anzi nelle prime sette gare è partito in quintetto. L’utilizzo però è andato calando. Nelle ultime quattro gare è arrivato a 8 minuti di media per 1.5 punti. Scomparso.
Oregon. Settimana scorsa avevamo puntato il dito contro Keeshawn Barthelemy, ma la situazione va espansa a tutta la squadra. Quinta sconfitta consecutiva per una delle sorprese di inizio stagione su cui ora le avversarie hanno prese le misure. Contro Michigan State si scioglie nel secondo tempo a causa di un ambiente caliente dopo un primo tempo in cui Jeremy Shelstad aveva messo a ferro e fuoco il Breslin Center. Era dalla stagione 2013-14 che i Ducks non avevano una striscia così negativa. Fortuna per loro che il calendario ora volge a loro favore.
Mike Woodson (Indiana). Non è facile allenare una delle squadre più blasonate del college basket, con la fan base più assetata di vittorie nello stato americano in cui la pallacanestro è una religione. Se siedi sulla panchina di Indiana, o vinci e convinci oppure prima o poi ti fanno fuori. Woodson ha iniziato bene, portando la squadra per due anni di fila al Torneo Ncaa. Poi però sono iniziati i problemi, nonostante ci fosse talento a disposizione. Di fatto, ha anche vinto qualche partita importante, ma non ha mai convinto. Alla fine, ha rassegnato le dimissioni, annunciando che allenerà fino a fine stagione ma poi lascerà l’incarico. E non essendo stato tecnicamente licenziato, potrebbe anche far risparmiare parecchi soldi all’università.