Dopo due lunghi anni è tornata la March Madness col suo solito carico di emozioni, sorprese e partite memorabili. E portandosi dietro, come ogni anno, una serie di protagonisti che non avevano goduto di troppi riflettori prima di marzo. Dal dominio nel mid range di Johnny Juzang alle triple in serie di Kevin Obanor, ecco le principali sorprese del Torneo più pazzo del mondo.
Johnny Juzang – UCLA
Miglior realizzatore di UCLA per distacco in stagione regolare, ha alzato il livello per trascinare i Bruins dalle First Four alle Final Four, inchinandosi solo ad un canestro da fenomeno di Jalen Suggs. Elegante con la palla in mano, letale dalla media, al Torneo ha tirato col 50% dal campo per 22.8 punti di media. A far saltare tutti sulla sedia è stata però la sua abilità nel gestire i possessi decisivi, anche contro due difese solide come Michigan e Gonzaga, sfruttando un mix notevole di creatività e coraggio. Se dovesse resistere al richiamo del Draft, coach Cronin gli costruirà attorno la UCLA del futuro.
Adam Flagler – Baylor
I volti-copertina del primo storico titolo dei Bears sono altri, ma durante l’anno abbiamo più volte sottolineato quanto Flagler fosse prezioso e questo trionfo sarebbe stato molto più difficile da conquistare senza di lui. Dopo una stagione in cui il tiro da tre è andato un po’ ad intermittenza, alla Big Dance è diventato una certezza: 12/18 complessivo nei 23 minuti di media. Se aggiungete il 18/19 ai liberi e la capacità di giocare ogni possesso alla massima intensità su entrambe le metà campo, capite che Scott Drew, fautore della rinascita di Baylor, ha potuto contare su un gregario di super lusso.
Max Abmas – Oral Roberts
L’avevamo detto di come Abmas portasse i segni dell’eroe di marzo e ora eccolo qui, reduce da un gran Torneo e in piena conversazione Draft. Guardia diabolica che sembra poter fare apparire e sparire la palla a suo piacimento, si è dimostrato un pessimo cliente sia in attacco che in difesa. Ha un range di tiro smisurato e s’infiamma nei momenti decisivi: l’overtime dominato contro Ohio State e la rimonta nel finale ai danni di Florida portano la sua firma. Assieme a Obanor ha portato ORU alle Sweet 16 segnando almeno 25 punti in ognuna delle tre partite giocate: l’ultimo a riuscirci prima di lui si chiama Steph Curry.
Javion Hamlet – North Texas
Ogni upset ha un protagonista, e probabilmente a Purdue questo se lo sogneranno per parecchio: 24 punti, 12 rimbalzi e una cocente sconfitta all’overtime inflitta al seed #4 della South Region. È una guardia atletica, ha un ball handling di livello e riesce a realizzare anche tiri difficili: una spina nel fianco per la difesa. Anche quando Villanova ha riportato i Mean Green sulla terra (81-64), lui ha comunque brillato, mettendo a referto 25 punti col 50% dal campo. Suo padre, poi, è un personaggio di quelli che valgono da soli il prezzo del biglietto.
No one was more hyped for the North Texas win than Javion Hamlet’s dad 😂@MeanGreenMBB | #MarchMadness pic.twitter.com/ahqi27jZXO
— NCAA March Madness (@marchmadness) March 20, 2021
Tanner Groves – Eastern Washington
Ci ha fatto brillare gli occhi per tutto l’anno nella Big Sky, quindi non possiamo mentire: ci siamo intristiti nel vedere questo ragazzone barbuto piangere per l’upset fallito dalla sua EWU contro Kansas. Passate le lacrime, però, rimane una delle prestazioni più incredibili della storia recente del Torneo: 35 punti, 3 stoppate, 11/18 dal campo ed un dominio praticamente totale in area. La buona notizia è che è un junior: possiamo alimentare le speranze di rivedere la sua fascetta su questi palcoscenici, soprattutto dopo la notizia del suo ingresso nel portale dei transfer.
Matthew Mayer – Baylor
Altro uomo nell’ombra dei campioni in carica: 15.7 minuti di media in stagione, 93 partite giocate coi Bears senza mai partire da titolare. Si è presentato alla March Madness con un look da codice penale, ma ha messo in campo una solidità incredibile: quando è stato chiamato in causa ha sempre risposto presente, con tutta quella galassia di piccole cose che non finiscono nel tabellino ma fanno molto felici gli allenatori.
Ethan Thompson – Oregon State
Senior che in stagione aveva mostrato luci ed ombre, è cresciuto esponenzialmente nel corso del Torneo: guardia da 195 cm, la combinazione tra abilità tecniche e statura lo ha reso un incubo per Oklahoma State e Loyola-Chicago. Ha trovato il canestro con una facilità imbarazzante, caricando di falli chiunque lo marcasse (23/24 dalla linea nelle due partite appena citate) e guidando i Beavers ad una clamorosa cavalcata fino alle Elite Eight. Purtroppo per i suoi non ha trovato il terzo acuto consecutivo per superare anche Houston ma, se avesse due anni di meno, sarebbe probabilmente sul taccuino di molti general manager in Nba.
Kevin Obanor – Oral Roberts
Abbiamo paragonato lui e Abmas a Batman e Robin. In coppia hanno segnato 113 punti nelle prime due partite: una valanga. Ala massiccia che ha tirato un clamoroso 46.3% dall’arco in stagione, ha chiuso il Torneo con tre doppie doppie consecutive, 23.3 punti e 11 rimbalzi di media. Coach Mills gli ha chiesto gli straordinari non lasciandogli (letteralmente) neanche un minuto di riposo, e lui lo ha ricompensato con delle prestazioni di livello assoluto. Ha ancora due anni di college davanti, tenetegli gli occhi addosso.
Cameron Krutwig – Loyola Chicago
Tutt’altro che una sorpresa per chi mastica college basket ma i più forse se lo erano scordato dopo la gloriosa Final Four raggiunta da Loyola nel 2018. Un centro molto forte con dei baffi discutibili, ma non è Drew Timme. Krutwig pesa come un bisonte ma ha le mani fatate e ha un QI cestistico superiore alla media. Se c’è un compagno libero, lui verosimilmente lo pescherà. Altrimenti, ha dimostrato di sapersi muovere bene anche in post basso se isolato.