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Week 6, Lamont Butler e Dylan Harper brillano nel sabato delle rivalità

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 16 Dic, 2024

In un sabato animato da tanti rivalry game, Lamont Butler per Kentucky e Dylan Harper per Rutgers svettano con due prestazioni magistrali. Le pagelle della Week 6.

 

Lamont Butler (Kentucky). La forza di Kentucky in questo 2024 è la profondità. Dopo che Jaxson Robinson ha risolto la partita con Gonzaga, è stato il turno di Butler con Louisville. Fresco di due partite di riposo, l’ex San Diego State realizza 33 punti senza alcun errore dal campo (10/10 con 6 triple, un po’ meno bene ai liberi con 7/12), secondo miglior bottino personale mai messo a segno da un Wildcat nella lunga rivalry coi Cards. Mark Pope può godersi tutto il suo talento e una Top 5 inaspettata in prestagione ma meritatissima.

Dylan Harper (Rutgers). Con la sicurezza di un veterano anche contro le difese più forti della D1. Contro Seton Hall e Penn State e le loro guardie-mastino, il freshmen di Rutgers sciorina due prestazioni di livello. Non forza mai la giocata e se contro i Nittany Lions ai 24 punti ha aggiunto anche 12 assist, coi rivali di Seton Hall è riuscito a trovare una soluzione anche alla difesa schierata da coach Shaheen Holloway mettendo a segno altri 24 punti, con tanto di tiro della vittoria sulla sirena che ha un po’ rievocato il già storico buzzer del fratello Ron Jr. con Purdue. Leader indiscutibile e sempre più potenziale scelta numero 1 al Draft.

 

Dominio SEC. Le due squadre coi record peggiori sono LSU (8-2) e South Carolina (7-3) ed entrambe hanno almeno due vittorie contro avversarie di Power 5. Non chiamatela più la conference del football perché la numero 1 Tennessee e la numero 2 Auburn vengono da qui, Kentucky è anch’essa in Top 5 e ce ne sono altre due in Top 10. Non è finita: ci sono anche tre delle ultime imbattute (oltre ai Vols, anche Florida e Oklahoma), il challenge con l’ACC è finito 14-2. Illinois, Louisville, Ohio State, Creighton, Purdue sono le ultime vittime di una settimana incredibile da parte della conference del Sud-Est.

North Dakota State. Settimana perfetta per i Bisons, prima corsari sul parquet di Butler grazie ai 52 punti della coppia Jacksen Moni-Jacari White (entrambi viaggiano intorno ai 17 di media) e infine capaci d’infliggere una prestazione offensiva da record ai danni di Western Michigan (69.1% dal campo per un 85.5 di eFG%, dato più alto registrato in tutta la D1 fin qui quest’anno). Le vittorie di fila ora sono sette (di cui due in trasferta e due su neutro) e mai come ora appaiono come la squadra da battere nella Summit League.

 

Liam McNeely (UConn). Dan Hurley non vorrà giocare mai più su un’isola come le Hawaii perché quando UConn gioca sulla terraferma sembra essere inarrestabile. Texas e Gonzaga vengono battute in maniera piuttosto solida in una settimana e i Bulldogs vengono affondati da una gran partita del freshman McNeeley. Niente grandine di triple per il tiratore al primo anno perché la difesa di Mark Few lo spinge ad andare dentro, dove il prodotto di Montverde fa valere tutta la sua fisicità: 26 punti per lui alla fine (career-high) con 5/6 in area e 10/12 ai liberi.

Dayton. Kam Jones non si può fermare ma si può rallentare a tal punto da rimontare Marquette e batterla. Occhio ai Flyers che dopo un sorprendente Maui Invitational, giocato al pari delle più forti, si è presa anche il secondo scalpo in stagione di una squadra in Top 10. Niente più leader alla Obi Toppin o alla Koby Brea ma un sistema oliato e con responsabilità ben distribuite che vede Enoch Cheeks prendersi più tiri, Malachi Smith smistare assist e Nate Santos giocare ogni minuto possibile. Rotazioni ridotte all’osso per una vera e propria mina vagante.

 

Arkansas State. I favoriti della Sun Belt riescono a far parlare di sé per la seconda settimana di fila. Dopo l’upset in trasferta contro Memphis, i Red Wolves hanno avuto un’altra domenica benedetta, anzi miracolata. Sotto di 27 punti con meno di 17 minuti da giocare, sono riusciti a rimontare, portare la gara ai supplementari e infine vincere sul campo di UAB. È la rimonta più grande vista in quasi tre anni e la sesta in assoluto nella storia della Division I.

Tyler Bilodeau (UCLA). Negli ultimi 10 minuti della gara punto a punto contro Arizona ha segnato 12 punti (su 17 complessivi), tra cui un jumper dalla media e un gancio a un minuto dalla fine, determinante per la vittoria. A parte i viaggi in lunetta, i canestri dal campo del finale sono arrivati quasi tutti da lui. Il lungo da Oregon State si sta rivelando una bella sorpresa per coach Mick Cronin. Non sarà un mastino sotto i tabelloni, ma è fondamentale per la sua bidimensionalità e per la sua capacità di cambiare in difesa.

 

Cincinnati. Si è tolta una bella scimmia dalle spalle battendo i rivali cittadini di Xavier per la prima volta in sei anni, ma la prestazione offerta nel complesso è un classico “vince ma non convince”. Offensivamente nulla per lunghi tratti, si dà una smossa solo quando Simas Lukosius si desta dal suo torpore e per poco non vanifica la rimonta con un possesso difensivo raccapricciante negli ultimi 6 secondi (Zach Freemantle perso su un blocco lontano dalla palla, ha quattro metri di spazio e tanto tempo per caricare la tripla del pareggio, ma sbaglia).

Chucky Hepburn (Louisville). La stagione della squadra sembra maledetta (due infortuni da “stagione finita” e un piede rotto), ma con il roster decimato sono emerse ancora di più le qualità della guardia dei Cardinals. Difende per due e attacca per tre. E nonostante sia ormai l’indiziato numero uno delle difese avversarie riesce quasi sempre a fare le giocate giuste e a tenere a galla Louisville. Definitivamente pronto per una carriera da professionista.

 

Brad Underwood (Illinois). Così vicino a fare lo scalpo alla numero 1 eppure così lontano. Illinois si arrende a Tennessee soltanto alla sirena finale con un buzzer beater di Jordan Gainey. Bravo lui, per carità, ma il tappeto rosso steso dagli Illini grida vendetta e Underwood in sala stampa ha fatto mea culpa per non aver chiamato timeout subito prima e dare l’opportunità ai suoi di schierarsi meglio difensivamente. Non il primo neo tattico nella carriera del coach.

Vermont. Perdere in non-conference pesa il giusto quando sei in una one-bid league, ma viene da chiedersi che versione dei Catamounts vedremo a gennaio. Al momento sono l’immagine sbiadita dei perenni favoriti nell’America East: tre sconfitte di fila con Brown, Yale e infine Colgate (altra nobile low-major in difficoltà) mettendo insieme numeri da incubo in attacco: 54.3 punti segnati, 37% dal campo e 12 palle perse di media nelle tre gare in questione.

 

Gicarri Harris (Purdue). Porta sulle spalle il peso di essere figlio del più famoso giocatore della storia di Purdue, ossia Big Dog Glenn Robinson. Purtroppo, a differenza del padre, finora sono emerse solo le qualità difensive di Harris (interessanti) ma quasi per nulla quelle offensive (4/25 da tre) e questo ha portato coach Painter a dare sempre meno minuti al freshman. A inizio anno partiva in quintetto, mentre nella sconfitta contro Texas A&M ha giocato 6 minuti venendo dalla panchina.

Cal. Avere 18 squadre non sembra una ricetta di successo per la ACC, che quest’anno ha un gruppetto di 5-6 formazioni che faticherebbero anche in una mid-major conference. In settimana Cal si è distinta in negativo, facendosi battere in casa da Cornell e soffrendo per un tempo intero prima d’imporsi su una classica vittima sacrificale come Northwestern State (e riuscendoci soprattutto grazie a un Andrej Stojakovic sontuoso). La classe offensiva del figlio di Peja sposta il giusto però in una squadra la cui difesa fa acqua da tutte le parti.

 

Butler. La già citata beffa con NDSU è stato l’intermezzo fra un -28 con Houston e una sconfitta di 9 con una Wisconsin reduce da tre sconfitte di fila. Le vittorie di qualità con Mississippi State, Northwestern e SMU sembrano già un ricordo. La squadra appare fin troppo dipendente dalle lune di Jahmyl Telfort (12/35 dal campo complessivo nelle ultime 3 gare) e ha la pessima abitudine d’iniziare le partite col freno a mano tirato. Le prime due gare di Big East sono con Marquette e UConn. Auguroni.

Ohio State. La vittoria contro Texas (peraltro senza Tramon Mark) all’esordio di stagione è davvero lontana. I Buckeyes hanno perso 3 delle ultime 4 partite: in OT in casa contro Pittsburgh, poi male contro Maryland e malissimo contro Auburn. Per carità, tutte squadre forti, ma i 59 punti segnati contro i Terrapins e i 53, minimo stagionale, contro i Tigers sono un brutto segnale. Ohio State potrebbe presto reinserire il centro Aaron Bradshaw (assente da quasi un mese e alle prese con guai legali), ma la sensazione è che serva più di un singolo innesto per ritrovare smalto.

 

Nolan Hickman (Gonzaga). “Ehi Nolan guarda che la tua squadra oggi gioca con la maglia scura”. La guardia titolare (senior) dei Bulldogs ha deciso di scioperare nella partita contro Connecticut chiudendo con 0 punti, 0/2 dal campo, nessun tiro libero tentato, zero triple, zero assist e un solo rimbalzo difensivo. La preoccupazione per coach Mark Few è che Hickman sia uno di quei giocatori che scompare contro avversari tosti. L’ultimo 0 sul tabellino per la guardia? Due anni fa alle Elite Eight del Torneo Ncaa. Contro chi? Connecticut, of course.

Tommy Lloyd (Arizona). Il coach si trova nel momento di gran lunga peggiore della propria carriera e la sua squadra appare lontanissima dal poter risalire la china. 4-5 in stagione, le vittorie sono arrivate solo nei buy games e, cosa più incredibile per un gruppo allenato da Lloyd, l’attacco fa una fatica bestiale. Nella partita persa per 57-54 con UCLA, l’ultimo canestro dal campo dei Wildcats è arrivato con 8:46 da giocare. L’amalgama semplicemente non c’è. E ora l’infortunio di Motiejus Krivas rischia di complicare ulteriormente le cose.

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