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Week 7, Bennett Stirtz e una partita da ricordare

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 23 Dic, 2024

Bennett Stirtz è tra i volti belli della stagione e la sua partita con Kansas State ha una trama quasi da film. Le pagelle della Week 7.

 

Bennett Stirtz (Drake). Al di là di come andranno la stagione o addirittura la carriera del play-guardia di Drake, il 17 dicembre sarà una data che Stirtz ricorderà per tutta la vita. Lui, da sempre tifoso di Kansas State, ignorato da tutte le squadre di Division I in fase di reclutamento, ha giocato una partita da eroe (22 punti con 7/11 da due e 1/2 da tre) segnando quasi tutti i canestri dell’overtime e soprattutto la tripla della vittoria allo scadere proprio contro Kansas State. Drake resta imbattuta (11-0) e il ragazzo è in cima alle nostre pagelle senza se e senza ma.

Florida. Battere North Carolina dopo aver giocato un primo tempo favoloso, esser saliti sopra di 18 e poi ritrovarsi sotto nell’ultimo minuto è una cosa da grande squadra. Al suo terzo anno con i Gators, coach Todd Golden ha trovato la sua forma: un backcourt complementare e variegato in grado di portare 50 punti a sera e sotto canestro due lunghi veri che possono fare a sportellate con chiunque. Alijah Martin è perfetto per un sistema offensivo con troppi creatori da difendere e la sua esperienza è stata fondamentale per la migliore vittoria dell’anno contro UNC.

 

Jeremiah Fears (Oklahoma). Uno dei prospetti più chiacchierati ha trovato ancora una volta il modo di far parlare di sé, ovvero sganciando 30 punti molto efficienti sulle teste di Michigan, con tanto di game-winner da 3+1. Sempre più maturo e sempre più letale, Fears è una minaccia realizzativa su tre livelli che per i Sooners fa un po’ di tutto (li guida in punti, assist e recuperi), il che è a dir poco impressionante per un freshman di una high-major ancora imbattuta a ridosso di Natale.

Donovan Dent (New Mexico). In questo periodo dell’anno, c’è chi va in vacanza anticipata e chi fa il proprio dovere. Dent invece fa categoria a sé coi suoi straordinari: i 40 punti (più della metà di quelli segnati da UNM) in faccia a una delle migliori difese della Division I infatti la dicono lunghissima. Dritto a canestro o di fino dal palleggio, nessun giocatore di VCU è davvero riuscito a tenerlo in uno-contro-uno. Viaggia intorno ai 20 punti e 7 assist di media e bisognerebbe parlare un po’ più spesso di lui.

 

Ian Jackson (North Carolina). Una guardia col paraocchi che può risolverti la partita o affossartela. Il freshman di North Carolina ha avuto una di quelle settimane in grado di cambiare in positivo la stagione. Ha guidato prima la rimonta fallimentare contro Florida con una scarica di canestri nel secondo tempo (11 punti nel finale) e poi invece contro UCLA ha colpito ripetutamente grazie all’elettricità e alla sua confidenza con il palleggio arresto e tiro (24 punti col 62% dal campo). Se RJ Davis dovesse continuare a non trovare il canestro con continuità, Jackson potrebbe rivelarsi il sostituto perfetto.

UC San Diego. Record 11-2 in stagione, striscia aperta di 9 vittorie (4 delle ultime 5 in trasferta) e in settimana ha passato l’esame di maturità sul parquet di una Utah State fino ad allora imbattuta, godendo del fiuto per il canestro dei suoi esterni e vincendo la battaglia a rimbalzo nonostante la taglia inferiore del suo frontcourt. Da esordiente assoluta in D1 a possibile top dog della Big West (UC Irvine permettendo) nel giro di 5 anni: siamo a metà stagione ma la parabola di coach Eric Olen e dei suoi Tritons è già ragguardevole.

 

Collin Murray-Boyles (South Carolina). Lo scorso anno aveva sorpreso per quanto era pronto e versatile, mentre in questa stagione sta imparando anche ad essere decisivo. Murray-Boyles nel derby contro Clemson, alla solita partita da tuttofare, presente sia in attacco che in difesa, ha aggiunto 12 punti (dei 22 totali) negli ultimi dieci minuti di partita. Jumpshot da 5 metri, finte sotto canestri, mano ai liberi per un prospetto Nba da fine primo giro che, oltre alla difesa e ai rimbalzi, sta iniziando ad essere anche il leader offensivo dei Gamecocks.

Piccole squadre, grandi finali. Le emozioni più forti del weekend sono state di marca mid-major. Princeton ha fatto la festa a Rutgers davanti a oltre 10mila spettatori in un finale di sorpassi e controsorpassi: decisivo il canestro di Caden Pierce mentre stavolta a Dylan Harper non è entrata la tripla della disperazione. Il giorno prima Valparaiso ha fatto persino di meglio. Certo, la cornice era molto più modesta, ma la vittoria dei Beacons ha comunque fatto rumore: sotto di 22 punti con 6:51 da giocare, si sono rifatti sotto coi punti di Cooper Schwieger e Justus McNair, quest’ultimo autore di un incredibile e decisivo buzzer beater da metà campo.

 

Malachi Smith (Dayton). Sufficienza piena, anzi pienissima, però le 6 palle perse con Cincinnati ci impediscono di dargli un voto più alto. Non è da lui commettere errori in quantità, ma sta di fatto che ha contribuito non poco alle ben 17 perse che sono costate la partita ai Flyers. Chiamiamolo errore di percorso, anche perché il vero Smith lo avevamo visto pochi giorni prima zigzagare per l’area di UNLV e mettere a segno un game winner di pura classe in uno-contro-uno.

Viktor Lakhin (Clemson). Il peggiore in campo contro South Carolina (e infatti i Tigers hanno perso in OT) e il migliore in campo 4 giorni dopo contro Wake Forest. Incredibile come un giocatore possa cambiare in così poco tempo. Il lungo russo di Clemson ha avuto problemi di falli e si è fermato a 4 punti con 1/6 dal campo contro i Gamecocks, passando invece a 13 punti, 9 rimbalzi, 6 assist, 2 stoppate e 2 recuperi contro Wake Forest, dimostrando come possa essere ago della bilancia per la squadra della ACC.

 

Xavier. Tre sconfitte consecutive che fanno male: il derby contro Cincinnati perso di 3 punti, la partita contro Connecticut, persa in OT con più di una chiamata discutibile nel finale e infine la sconfitta contro Marquette di soli 2 punti. La vera sofferenza è però l’ennesimo infortunio per Zach Freemantle, lungo di talento la cui carriera è stata costellata di incidenti e che stava disputando una stagione da protagonista. Purtroppo per lui e per Xavier la stagione è finita prima del tempo.

Michigan. Compito in classe: sprecare in maniera creativa una partita gestita e controllata per 30 minuti. I ragazzi di coach Dusty May si sono impegnati contro Oklahoma e hanno svolto benissimo il compito. Sopra di 11 punti a 9 minuti dalla fine, sono riusciti a far segnare 25 punti in 6 minuti ai Sooners (passati in vantaggio), per poi però recuperare ma infine sprecare tutto di nuovo. Per carità, il canestro da 3+1 di Jeremiah Fears è tanta roba, ma siamo certi che May farà una sessione video aggiuntiva per Natale.

 

Kentucky. Per la prima volta in stagione, i Wildcats si sono sciolti e, per quanto sia solo la seconda sconfitta, c’è da evidenziare un fatto: è difficile che possa vincere una partita se l’attacco non gira. Infatti per KenPom la squadra di Mark Pope ha la 62a difesa della nazione e contro Ohio State si è visto perché. Bruce Thornton nel secondo tempo è stato immancabile (22 punti dei 30 totali), la legge dell’ex ha colpito con un Aaron Bradshaw vivace su entrambi i lati del campo, mentre l’attacco di UK sbatteva contro i ferri e la fisicità dei Buckeyes. 29.4% è la peggior performance dell’anno, difficilmente si ripeterà, ma Pope deve sistemare la difesa se vuole vincere anche nelle serate più difficili.

Dylan Andrews (UCLA). Il crollo è stato verticale e netto di tutta la squadra, ma il sophomore è stato ai margini per tutta la partita contro North Carolina (1/6 al tiro), non trovando mai il ritmo avuto qualche giorno prima contro Prairie View A&M (22 punti con 8/12 dal campo). A condire il tutto c’è la rovinosa e decisiva palla persa che conclude la rimonta dei Tar Heels. L’inizio di stagione dei Bruins è stato sorprendente, ma per fare il salto di qualità coach Mick Cronin deve puntare sulla crescita, soprattutto in termini di continuità, da parte di Sebastian Mack e Andrews.

 

Syracuse. Maryland non era l’avversario migliore da affrontare per riprendersi dalla sconfitta nel rivalry game con Georgetown, ma non c’è alibi che giustifichi il collasso degli Orange (no, nemmeno l’assenza di JJ Sterling). 21 palle perse, 14 rimbalzi offensivi concessi e sconfitta di 27 dopo aver toccato persino il -38. Squadra con scarsissima amalgama e quasi nessuno capace di gestire il pallone: anche col roster di nuovo al completo, le possibilità di finire la stagione in maniera decente sono ridotte al lumicino.

Colby Rogers (Memphis). La giornataccia con Virginia non ha avuto ripercussioni (ma poco ci è mancato) e la débâcle con Mississippi State non è (tutta) colpa sua, ma il bottino settimanale è impietoso: 1/19 dal campo e 5 punti in totale nell’arco delle due gare. Dodici triple tentate, quasi tutte in catch-and-shoot: dovrebbe essere la sua specialità, ma non ne è entrata nemmeno una. A complicare il tutto, non si avventura in area nemmeno se lo paghi e i tentativi dal mid-range certe volte sono sconfinati nel patetico. Lontano parente di quello visto con Clemson solo una settimana prima.

 

Kansas State. Record 6-5 e tre sconfitte di fila per chiudere la non-conference season: naufraghi sul campo di St. John’s, poi beffati da Drake in casa propria e infine crollati (-19) con Wichita State, mid-major discreta ma tutt’altro che irresistibile (pochi giorni prima aveva perso con Kansas City). Solo due anni fa Jerome Tang veniva trattato (comprensibilmente) da santone, ma la musica a Manhattan è cambiata: nonostante i tanti soldi in NIL spesi, questi Wildcats rischiano seriamente di non arrivare a quota 20 vittorie per il secondo anno di fila.

L’Athletic Director di Green Bay. L’esperimento Doug Gottlieb assume sempre di più le sembianze di un circo (record 2-13, in settimana ha ceduto persino a una squadra di D2), ma forse per una volta è giusto menzionare non solo il pagliaccio ma pure chi lo ha assunto. Pensateci per un attimo: la persona che un anno fa aveva fatto un homerun hire per eccellenza (Sundance Wicks) è la stessa che ha immaginato fosse intelligente ingaggiare con un quinquennale uno che vuole continuare a fare il conduttore radiofonico. Il tizio in questione, Josh Moon, per ora difende pubblicamente la propria scelta. Vedremo fino a quando.

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