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Week 10: dalle magie di Knecht al calvario di DePaul

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 15 Gen, 2024

Le pagelle della Week 10 iniziano con Dalton Knecht che illumina l’attacco dei Vols e finiscono con DePaul, la più brutta delle squadre di P6.

 

Dalton Knecht (Tennessee). Ci avevamo visto lungo a inizio anno quando gli avevamo dedicato un focus. Dalton Knecht è il faro offensivo che Rick Barnes non ha mai avuto a Tennessee, un All-American fatto e finito. In questa settimana, in cui i Vols hanno fallito l’assalto alla #1 con la sconfitta a Mississippi State, l’ex Northern Colorado ne ha piazzati prima 28 col 56% dal campo per poi migliorarsi e arrivare a 36 con il 60% dal campo contro Georgia. Numeri da fuoriclasse assoluto, immarcabile in ogni zona del parquet, visto che a supportare questi numeri c’è anche un rotondo 50% da tre su 18 conclusioni.

Wisconsin. Fra una Purdue che ogni tanto fa la fine di Golia e gli alti e bassi di squadre come Indiana, Illinois e Michigan State, alla fine in testa alla Big Ten ci sono i Badgers. Ancora imbattuti dopo 5 partite di conference, in settimana hanno sconfitto Ohio State e Northwestern imponendo i suoi tanto amati ritmi blandi che, in attacco, sono sinonimo di efficienza elevatissima. Tanto di cappello a Greg Gard, fra i meno osannati coach di Power 6 ma che regolarmente porta a casa risultati senza andare a caccia di nomi d’eccezione.

 

L’attacco di Memphis. In passato gli elogi per Penny Hardaway erano legati soprattutto alla sua difesa, ma il coach dei Tigers ha dimostrato in settimana che i suoi quest’anno sono da temere anche – se non soprattutto – in attacco. 107 punti dati a UTSA e 112 passeggiando in casa di Wichita State: anche tenendo conto dei soli tempi regolamentari, sono comunque 206 punti nell’arco di due match. Benché FAU abbia mandato segnali di ripresa, al momento non c’è formazione che appare meglio attrezzata di Memphis per vincere l’American.

La difesa di North Carolina. La squadra di Hubert Davis è capace di divertire, ma il merito degli ottimi risultati raccolti nell’ultimo mese scarso (sei vittorie di fila, 5-0 nella ACC) va dato in primis a una difesa che non scopre mai il proprio fianco. Sia nel colpo esterno con NC State che nella ripassata (+36) data a Syracuse, i Tar Heels hanno tenuto gli avversari sotto l’80 di Adjusted Efficiency offensivo. Livelli degni delle migliori versioni di Houston e Tennessee, per intenderci.

 

Tucker DeVries (Drake). Il POY in carica della Missouri Valley – e uno dei migliori prospetti da Nba dalle mid-major – ha fornito una risposta da campione in un momento delicato: Drake proveniva dal brutto -21 con Belmont ma in settimana si è rilanciata in vetta sconfiggendo nettamente sia Indiana State, altra contender nella conference, che Southern Illinois. Il figlio del coach? 29 punti nella prima e 34 nella seconda, tra l’altro senza far mancare rimbalzi e assist.

Sean Pedulla (Virginia Tech). Dopo un dicembre di acciacchi fisici e bottini magri, gennaio è arrivato e il junior ha deciso di cominciare a bucare la retina come non aveva fatto mai prima in carriera. Già autore di un losing effort da 26 punti con Florida State, in settimana ha messo insieme ben due trentelli: prima nell’upset ai danni di Clemson (32 punti, 9/16 al tiro, 8/8 ai liberi) e poi nella sconfitta con Miami (33 con 13/23 dal campo e 2/2 ai liberi). La stagione di VT però non sembra destinata a regalare grosse soddisfazioni, anche con un Pedulla così.

 

Rob Dillingham (Kentucky). Avere una guardia così che entra dalla panchina è davvero un bel lusso. Kentucky è l’unica squadra in Division I a schierare più di tre giocatori con più di tre assist di media e Dillingham fa parte di questo gruppo. 23 punti in 19 minuti nella vittoria contro Missouri e il 3/3 dall’arco nel finale contro Texas A&M che ha permesso a UK di agguantare il supplementare (poi perso). Energia pura.

Maxime Raynaud (Stanford). Fa strano dirlo ma… Stanford non è mica brutta quest’anno. Quattro vittore nelle ultime cinque partite (due contro squadre in Top 25 su KenPom), le ultime due firmate dal lungo francese, in doppia doppia abbondante sia con Oregon State (18 punti e 13 rimbalzi) che con Utah (20 più 11). L’ultima in particolare ha mostrato un Raynaud impattante a protezione del ferro e quasi immarcabile in attacco, capace di colpire da lontano (persino in movimento), rollando con precisione a canestro e in post basso sfruttando un tocco delicatissimo con entrambe le mani dall’alto dei suoi 216 cm d’altezza.

 

Adama Bal (Santa Clara). Settimana dalle stelle alle stalle per lui – che avevamo inserito fra gli europei più in forma del momento – e per la squadra, passata dall’aver battuto Gonzaga per la prima volta in 13 anni (sotto gli occhi della leggenda Steve Nash) al subire un’umiliazione interna con Saint Mary’s (73-49). Significativa la differenza di performance del francese: 17 punti e game-winner con gli Zags, appena 4 punti (1/9 dal campo e 2/2 ai liberi) coi Gaels. Le sirene-Draft sono scattate ma la continuità ad alto livello per ora manca.

Nebraska. La settimana era iniziata nel miglior modo possibile, ovvero battendo la #1 del ranking con un piano partita eseguito perfettamente per limitare Zach Edey e compagni. La vittoria su Purdue si è però rivelata inebriante nel peggior modo possibile: tutta quella energia mostrata sin dalla palla a due coi Boilermakers è sparita durante i primi possessi con Iowa, compromettendo una gara infine persa di 18 punti. Rimane la miglior Nebraska vista sotto coach Fred Hoiberg fin qui ma la mentalità vincente non è ancora del tutto sviluppata.

 

Houston. La vita in Big 12 sa essere beffarda. Come preventivato, Houston non riesce a scalare il primo scoglio di trasferte nella nuova conference e incappa in una settimana da 0-2. Milan Momcilovic e Emanuel Miller si sono dovuti inventare tiri acrobatici e tagli a cento all’ora per battere i Cougars, duri come la pietra anche in Big 12, però la sensazione è che la squadra di Kelvin Sampson abbia dovuto scontrarsi con questa dura realtà. Nulla è compromesso, vista anche la caduta di Kansas con UCF, ma Houston dovrà presto rialzare la china.

Providence. Il giovane coach Kim English sta imparando quanto possa essere dura barcamenarsi nella Big East, specie senza la propria stella. La stagione di Bryce Hopkins è finita con un crociato rotto dopo i primi 20 minuti del suo 2024 e da lì per i Friars sono arrivate solo sconfitte: quattro L, perlopiù giocandosela a dire il vero, ma il -20 rimediato da Xavier due giorni fa getta un’ombra molto preoccupante sul resto della stagione. Riuscirà mai a cambiare marcia? Magra consolazione: grazie a DePaul, si può escludere che finisca ultima nella conference.

 

James Madison. Era una delle fantastiche imbattute della stagione e quella che per KenPom aveva la più alta probabilità di chiudere l’annata senza sconfitte. Invece niente. La settimana scorsa abbiamo incensato Andre Curbelo, ma la vittima di Southern MIss erano proprio i Dukes che sabato erano chiamati al riscatto in casa contro la diretta rivale di conference, Appalachian State. Invece è andata male, punteggio bassissimo e sconfitta dolorosa. Nelle due sconfitte la squadra ha tirato complessivamente 5/34 dall’arco. Non servono altre cifre.

UCLA. Di coach Mick Cronin abbiamo parlato la settimana scorsa, ma forse è meglio fermarsi un secondo e analizzare i risultati di una squadra che ok, non ci aspettava avrebbe dominato la Pac-12, ma che nemmeno sarebbe stata così pessima. Nelle ultime 10 gare la squadra è 2-8. Certo, domenica ha vinto in casa contro Washington, ma la gara precedente è finita 90-44 per Utah. Nessuno in doppia cifra, la seconda peggior sconfitta nella storia dell’università. Non è mai bello entrare nella pagina dei record dalla parte sbagliata.

 

Bensley Joseph (Miami). La sconfitta con Louisville (peraltro in parte vendicata battendo Virginia Tech in trasferta) non ha un solo colpevole, ma di certo la PG dei Canes ultimamente è stata la pecora nera di un backcourt altrimenti pieno di qualità sulla carta. Nelle ultime tre gare (di cui due perse), ha messo insieme un Assist/Turnover Ratio a malapena accettabile (1.8/1) e soprattutto mostrato una mira orrenda dal campo: 1/12 da due e 3/13 da tre. Semplicemente deve invertire rotta al più presto.

Brock Cunningham (Texas). Ecco un altro starter dai numeri orridi. Commette di media 3.5 falli di media e segna 5 punti a partita. Nelle ultime cinque gare ha toccato una vetta inarrivabile di 9 punti e 19 falli commessi. Eppure, nonostante i suoi sforzi per tornarsene in panchina, coach Rodney Terry lo tiene in campo stabilmente per 30 minuti. Sembra l’equivalente cestistico di spararsi un proiettile nel piede, soprattutto quando il tuo record in conference è 1-2 pur giocando da favorita ogni incontro. Male Texas, male Cunningham, male Terry. Non il miglior modo per iniziare l’ultima stagione in Big 12.

 

DePaul. È arrivato quel momento dell’anno, quello di metà stagione in cui è obbligatorio fermarsi un attimo a contemplare quanto faccia schifo DePaul. Questa però è un’annata davvero speciale: i Blue Demons hanno record 3-13 e sono l’unica squadra di power conference a non aver ancora battuto un’avversaria nella Top 200 (DUECENTO) di KenPom, loro che su KP occupano adesso la posizione numero 265 – il sito raccoglie dati dalla stagione 1996-97 e non troverete una versione di DePaul piazzata peggio di così. È nella Big East da 18 anni ormai senza aver mai dato l’impressione di appartenere a quel livello: quando finirà questo calvario?

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