Se lo scorso anno Marquette è stato il 7° miglior attacco della nazione, il merito è stato soprattutto di Tyler Kolek. Nel suo secondo anno in maglia Golden Eagle, la point guard ha fatto registrare numeri da capogiro: 50% dal campo, 40% da tre (un deciso miglioramento dal 28% del suo anno da freshman), 80% ai liberi e, quando era in campo, il 50% dei punti di Marquette venivano dalle sue mani.
Per questo non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di intervistarlo durante il tour italiano di Marquette. Ecco cosa ci ha raccontato.
Big East Player of the Year e 3° quintetto All American. Da dove si parte per migliorare una stagione che ti ha visto protagonista sia a livello individuale che a livello di squadra?
Penso che siano ancora molte le aree nelle quali devo migliorare. Aver ricevuto quei riconoscimenti non vuol dire infatti che abbia giocato in maniera perfetta lo scorso anno. Voglio essere un punto di riferimento per i miei compagni e dare loro sicurezza. E per fare ciò devo iniziare ad avere più fiducia in me stesso giorno dopo giorno. A livello di squadra… certo, abbiamo vinto la Big East e la regular season, ma le nostre ambizioni sono più alte: vogliamo vincere il titolo.
I media, lo scorso anno, avevano pronosticato Marquette nona in Big East. La tua risposta in merito è stata: “Fuck Them” e poi avete vinto la conference. Cosa ti sente di dirgli ora che vi mettono in Top 5?
Noi ci presentiamo come detentori del Titolo di Conference e della regular season: se qualcuno ci ha sottovalutati lo scorso anno, quest’anno non lo potrà fare. Noi siamo i campioni della Big East e siamo qui per difendere il nostro scettro. Questa consapevolezza ci dà una grande motivazione per la prossima stagione.
Nel tuo freshman year a George Mason sei stato nominato “Rookie of the Year” dell’ Atlantic 10. Poi sei approdato a Marquette. Com’è stata l’esperienza del transfer portal e l’approccio avuto da Shaka Smart nel reclutamento?
Il portal è una sorta di far west. Ci sono centinaia di giocatori che si stanno inserendo ed è difficile trovare il giusto compromesso sia per le squadre sia per gli atleti. Non è facile fare recruiting in queste condizioni: c’è di tutto. Coach Smart e il suo staff hanno fatto un ottimo lavoro con me. Mi hanno subito dato una prospettiva su come sarei entrato nel loro sistema di gioco, di come volevano che mi relazionassi con i miei compagni e con loro. Questo per me è stato davvero attrattivo.
Marquette giocherà nel Maui Invitational più “carico” di sempre: ai nastri di partenza ci saranno infatti Kansas potenziale No.1, Purdue Top 5, Gonzaga e Tennessee da Top 10. Come si prepara un torneo day-to-day del genere?
Il format di un torneo del genere è molto estenuante sia a livello fisico che mentale. In questi casi è fondamentale concentrarsi su una partita alla volta e giocare giorno per giorno. Il rischio, soprattutto con avversarie di questo genere, è quello di non concentrarsi sulla partita che si sta per giocare o di non essere pronti a livello mentale e fisico.
Quanto è importante per Marquette la rivalità con Wisconsin?
Non ci si rende mai conto di quanto siano grandi queste rivalità fino a quando non si scende in campo e si dà inizio alla battaglia. Il mio primo match contro Wisconsin, finito con la nostra sconfitta, è stato un duro colpo. Quello dello scorso anno però è stato memorabile: è finito ai supplementari e l’atmosfera era davvero elettrica. La cosa più entusiasmante è che ogni anno questa rivalità cresce e si alimenta di nuova passione. E io amo giocare in questi frangenti.
UConn campione NCAA; Rick Pitino a capo di St John’s ed Ed Cooley a Georgetown; Villanova in cerca della revenge season. Non ci sono dubbi che ci sono tantissimi rivali pronti a strapparvi la corona della Big East. Come ti fa sentire questa grande competizione?
Penso che la Big East sia in una posizione davvero invidiabile quest’anno con grandi talenti sia tra i giocatori che tra gli allenatori. Senza contare le numerose squadre che possono ambire alla vittoria finale. Tutti vorranno batterci per strapparci il titolo e questo ci dà la forza di voler fare ancora meglio.
Sei un giocatore sempre molto in controllo in campo. È un tratto della tua personalità anche fuori o è una cosa tipicamente da basket?
Potrò anche sembrare controllato, ma in realtà lascio che la partita si impossessi di me. Di certo però non sono un giocatore che sta zitto in campo: dirigo i miei compagni con molto entusiasmo e passione. Se lo chiedi a loro, ti diranno che alcune volte posso essere anche un po’ stronzo ma lo faccio sempre nell’interesse della squadra e con l’obiettivo di vincere la partita. Questa è l’unica cosa che conta alla fine. Loro lo sanno e quindi mi accettano come sono, non solo come giocatore ma anche come persona e soprattutto come loro leader.